MILANO DA SCOPRIRE

Silvia Vincenzi vive nel gioiello architettonico di San Siro con marito e bimba. Ogni giorno gite e foto di curiosi. "Poca privacy ma non lascerei quest’oasi"

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di Marianna Vazzana

Tre specchi appesi all’ingresso. Rotondi. Minimali. Un dettaglio che nella “Casa tre cilindri“ è la sintesi della particolarissima opera di architettura che li contiene: quella che svetta in via Gavirate 27, tra piazzale Segesta e piazzale Lotto in zona San Siro e che da più di 60 anni attira la curiosità di milanesi e turisti. Ma com’è vivere dentro un cilindro? Lo racconta Silvia Vincenzi, di 33 anni, dipendente di una multinazionale, che insieme al marito e alla figlioletta di 3 anni abita in uno dei nove appartamenti, tre per edificio. "Mi piace molto. Io ho proprio cercato la forma tonda per sentirmi più “a casa“, perché io sono originaria di Faenza e già lì vivevo in una casa rotonda. Mi sono trasferita a Milano 10 anni fa e abito qui da tre anni e mezzo". Inquilina in un alloggio del cilindro di 130 metri quadri. Il fulcro della nostra casa è il soggiorno: abbiamo creato un unico spazio grande togliendo gli elementi che lo appesantivano, come il rivestimento di legno in alcuni punti, e tinteggiato le pareti di bianco per rendere l’ambiente ancora più luminoso".

Il sole entra dai finestroni che in soggiorno occupano l’intera parete affacciata sulla strada e che vanno dal pavimento al soffitto. Le tende sono come un sipario che si apre sulla città, a portata di sguardo anche per una bimba piccolissima "che quando ha imparato a gattonare è stata subito attratta dal mondo che poteva vedere dall’alto, dal pavimento, in autonomia, senza che un adulto la prendesse in braccio". Viceversa, ogni giorno c’è chi dal basso guarda verso l’alto, verso quei finestroni. "Persone incuriosite dai palazzi a cilindro fotografano le facciate e talvolta citofonano chiedendo di poter entrare a dare un’occhiata. Tra loro, tanti studenti di architettura e professionisti di design o di riviste del settore a caccia di ambienti particolari. Insomma, non ci annoiamo mai. La privacy ne risente ma questo aspetto è da mettere in conto abitando in un palazzo così", progettato dagli architetti Angelo Mangiarotti e Bruno Morassutti tra il 1958 e il 1959. La missione, all’epoca, fu di realizzare abitazioni per una cooperativa di nove funzionari statali. E non fu facile soddisfare tutte le richieste: avere appartamenti ben illuminati e indipendenti fra loro, rispettare le regole urbanistiche di allora, mantenendo l’armonia in un quartiere giardino caratterizzato da palazzine isolate all’interno di giardini privati, e trovare una soluzione per costruire su un’area “irregolare“quanto a conformazione del terreno. Da qui, la soluzione dei tre cilindri di poco più di 12 metri di diametro ciascuno, su tre piani, disposti a triangolo e collegati da un elemento centrale vetrato con le scale e gli ascensori. Ai nove alloggi si aggiunge il decimo, per il custode. Grande spazio anche al verde: c’è il giardino al piano terra e quelli “invisibili“, agli ultimi piani. "Durante i lockdown, il verde è stata la nostra salvezza", aggiunge Vincenzi.

Tra le difficoltà, "quella di arredare un luogo con le pareti curve. Non è semplice. Infatti all’interno le pareti d’appoggio tra un ambiente e l’altro sono quasi tutte dritte. Anche cambiare gli infissi è un’impresa. Ma una soluzione si trova sempre, per fortuna. Vivere qui è affascinante, non andrei ad abitare da un’altra parte: è la mia oasi".

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