"Da piccola vedevo mia mamma, che è rianimatrice in ospedale, e mi ripetevo che non avrei mai e poi mai fatto il suo lavoro. Una vita troppo complicata per chi ha una famiglia. E invece eccomi qui, a tentare il test di Medicina". Elena Cavestri, 19 anni, un diploma al liceo classico dei Salesiani di Milano tra le mani, è tra i 573 aspiranti camici bianchi che ha tentato il test in Bicocca e che ha indicato come prima scelta la Statale di Milano.
"Ce l’ho messa tutta – racconta –. In questi ultimi cinque anni ho cambiato idea rispetto a quando ero piccina, ho capito che voglio rendermi utile anch’io, che serve molta empatia in questo mestiere e che adoro il rapporto medico-paziente. Nelle prime ondate della pandemia mia mamma era lì, in rianimazione, nei momenti più duri. Tornava a casa distrutta". Quella stanchezza sul volto, quel dolore, non sono stati però un deterrente, anzi le hanno dato una motivazione in più che solo pochi mesi prima della tragedia Covid non pensava di avere.
"Mia madre ha sempre dato il massimo per i suoi pazienti e c’è sempre stata per noi, ci si organizza con i turni: si può fare. Che sia in rianimazione, in cardiologia o dove sarà: se tutto andrà bene avrò sei anni di tempo per sceglierlo".
Sul futuro del test di Medicina è perplessa. "Adesso che c’è la campagna elettorale ne parlano un po’ tutti. C’è chi vuole cancellarlo e utilizzare il metodo francese, ma non sono molto d’accordo.
E c’è chi propone il ’talk’ ma anche quello non si sa bene come gestirlo – commenta –. Il problema vero è uno: mancano gli spazi per laboratori e lezioni. Si potrebbero trovare però, penso all’area della fiera o a tanti luoghi che non sono utilizzati.
È ovvio che se mi proponessero ’tutti dentro senza test’ all’inizio sarei d’accordo, ma sul lungo termine qualche dubbio me lo farei. Prima di abolire il numero chiuso bisogna essere sicuri che l’educazione resti di qualità".
Si.Ba.
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