"Mi dicevano “sei una bestia” Ora li trascino in Tribunale"

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"Sei una bestia". L’insulto, pronunciato dai suoi capi, è ancora una ferita aperta per Michela. La 50enne, che indichiamo con un nome di fantasia, è una delle lavoratrici che hanno scelto di denunciare e di non rimanere in silenzio di fronte ai soprusi. La sua vicenda, al centro anche di un ricorso davanti al Tribunale del Lavoro del capoluogo lombardo, segue uno schema simile a quello di tanti altri casi di mobbing. Michela ha lavorato per anni come estetista, in un salone a Milano, nonostante una invalidità al 46% dovuta ad alcuni problemi fisici. "Non è mai stata inquadrata come categoria protetta – spiega Federica Piacenza (nella foto), psicologa che segue il caso in tandem con il legale e l’ufficio vertenze del sindacato – e a un certo punto sono iniziati i problemi, senza una vera causa scatenante. I primi maltrattamenti da parte dei datori di lavoro, un uomo e una donna, sono iniziati a primavera dell’anno scorso, con una escalation di insulti e vessazioni. La lavoratrice è stata demansionata, privata dei clienti nonostante la sua lunga esperienza nel settore e, infine, licenziata con l’inizio del nuovo anno".

La donna ha scelto di dare battaglia, impugnando il licenziamento davanti ai giudici. Nel frattempo resta senza lavoro, con tutte le difficoltà legate al ricollocamento dopo episodi che lasciano un segno indelebile. La difficoltà nel denunciare episodi di molestie o mobbing risalta anche dai numeri: solo otto i casi seguiti, negli ultimi mesi, dallo sportello di supporto psicologico della Cisl. Tutte le vittime sono donne. L’età media è di 45-55 anni, spesso con figli a carico e una separazione alle spalle. Alcune hanno già subito in passato maltrattamenti in famiglia e il luogo di lavoro, invece di essere un’ancora di salvezza, si è trasformato in uno specchio degli incubi vissuti a casa. I problemi sono trasversali ai settori, riguardano multinazionali, piccole imprese, negozi o studi professionali, dove è ancora più difficile far emergere i casi.

"Non bisogna pensare che gli interventi siano inutili – sottolinea Roberta Vaia, della segreteria milanese della Cisl – perché la presenza sul territorio è fondamentale per intercettare situazioni di disagio. Per questo stiamo formando anche i nostri delegati, per aiutarli a intercettare i segnali di allarme prima che sia troppo tardi". Vaia racconta il caso della lavoratrice di un supermercato milanese che lo scorso 25 novembre, Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, si è avvicinata al presidio organizzato dai sindacati, chiedendo aiuto. "Aveva denunciato il marito che la maltrattava e aveva trovato il coraggio di andarsene da casa – spiega – ma il datore di lavoro non aveva accettato di trasferirla in un altro punto vendita di Milano lontano dal luogo dove vive il marito, che continuava a tormentarla. In seguito al nostro intervento hanno accettato il trasferimento, e in questo modo la donna ha ottenuto una minima protezione".

Andrea Gianni

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