
Da 25 anni, sempre la stessa storia. Anzi, sempre la stessa polemica. Cambiano solo i nomi dei candidati e dei premiati. Le Civiche benemerenze – meglio note come Ambrogini d’oro – non hanno mai pace da quando, nel 1998, l’allora sindaco Gabriele Albertini decise di cedere lo scettro delle scelte dei nomi dei milanesi da premiare al Consiglio comunale, dopo il pressing dell’allora presidente dell’assemblea di Palazzo Marino Massimo De Carolis, con cui poi Albertini ruppe fino a ottenerne le dimissioni, nel marzo del 2000, ma per altri motivi. Tornando agli Ambrogini d’oro, averne assegnato la competenza ai consiglieri comunali, e dunque ai partiti, ha condizionato la dinamica delle scelte, tutta politica. Lo stesso Albertini, nel 2005, durante una missione da sindaco a Shanghai, tuonò contro l’atmosfera da “mercato delle vacche’’ che aveva caratterizzato anche quella tornata di Civiche benemerenze e con una clamorosa retromarcia propose di sottrarre le decisioni al Consiglio comunale e affidarla alla Giunta comunale. Non se ne fece niente. Dopo, di sindaci ne sono passati altri tre – Letizia Moratti, Giuliano Pisapia e Giuseppe Sala, in carica fino al 2027 –, le polemiche sugli Ambrogini d’oro non sono mai mancate e neanche le proposte di cambiare il Regolamento. Per la verità, nel 2015, con Pisapia sindaco e Basilio Rizzo presidente del Consiglio comunale, una riforma c’è stata: i premi sono stati dimezzati, da 70 a 35. Ma la logica di assegnazione non è mutata: potere assoluto sempre ai partiti. Sala, invece dell’espressione “mercato delle vacche’’, giovedì in Consiglio ha usato quella più pesante di "scelte clientelari". La sostanza, però, non è cambiata. Da 25 anni, sempre la stessa polemica.
M.Min.
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