Ictus in crociera fatali al manager La prescrizione "salva" il medico

I malori al largo delle coste della Groenlandia e la decisione di non trasferire subito il paziente in ospedale Per i giudici la condotta del dottore di bor do fu "gravemente imprudente". Ma ormai sono scaduti i termini

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Nicola Palma

MILANO

Nessun colpevole per la morte di Pietro Mantovani. La Cassazione ha ratificato la sentenza di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione emessa il 25 novembre 2020 dalla Corte d’Appello di Milano nei confronti dell’ottantenne Giuseppe Luca Isaia Tonini, il medico di bordo della Costa Deliziosa accusato dell’omicidio colposo del quarantasettenne morto dopo aver avuto due attacchi ischemici durante una crociera nell’agosto 2011. Per i giudici, la condotta del dottore fu "gravemente imprudente", ma ormai sono scaduti i termini per contestargliela.

Si chiude così , almeno dal punto di vista penale, una vicenda che risale all’8 agosto di undici anni fa. Quel giorno, il manager milanese, in vacanza con la moglie al largo delle coste della Groenlandia, accusa un malore: si presenta all’help desk e lascia un bigliettino con la scritta "Infarto", non potendo parlare "perché colto da afasia". Tonini lo visita, gli somministra Bentelan, Aspirinetta e Mannitolo e lo dimette, riferendo alla compagna "che la situazione era risolta e che, nondimeno, era opportuno sottoporre l’indomani Mantovani a visita neurologica" nell’ospedale di Ilulissat, cittadina di 4.500 abitanti. Il giorno dopo, alle 13.30, il quarantasettenne si sente ancora male: Tonini rassicura la moglie, affermando che si tratta "di un effetto del malore del giorno precedente", e alle 17, nella sua versione, sottopone Mantovani a una visita di controllo con "esito negativo", consigliando una risonanza magnetica dell’encefalo. Alle 22.30, però, l’uomo si accascia sulle scale, "mostrando i chiari sintomi di un ictus (bocca storta, occhi chiusi, tremore)". Solo in quel momento, viene disposto il ricovero a Ilulissat, dove c’è in servizio solo un ginecologo. Nella notte del 10, Costa Crociere inizia a organizzare i soccorsi per trasferire il paziente in un centro clinico più attrezzato, ma la società Mondial Assistance fa sapere che il trasporto può essere effettuato soltanto il 12. Troppo tempo per i familiari del manager, che si muovono in autonomia e riescono a farlo arrivare al Niguarda l’11. Tutto inutile, purtroppo: il 13, Mantovani muore "per un’ischemia cerebrale acuta". Per quel decesso, finiscono alla sbarra per omicidio colposo sia il comandante della nave Massimo Pennisi che il medico. Il primo viene condannato a un anno e quattro mesi, ma la Cassazione annulla senza rinvio il verdetto di merito: per gli ermellini, Tonini non gli fece capire quanto fosse grave la situazione. E il dottore? Condannato in primo grado e assolto in secondo, nel 2018 la Suprema Corte annulla tutto e dispone un nuovo giudizio. Che nel 2020 dichiara il reato estinto per prescrizione. Tutto finito? No, perché la Corte d’Appello spiega comunque di aver ritenuto "sussistente il nesso causale" tra la condotta del medico e la morte di Mantovani, "riconoscendo un profilo di grave imprudenza".

Perché? Tonini non dispose il trasferimento del paziente, già in occasione del primo attacco ischemico, in un ospedale "sulla terraferma che fosse dotato di unità specializzata in grado di far fronte in maniera tempestiva a un eventuale successivo aggravamento delle condizioni di salute del soggetto". Di più: se l’uomo fosse stato trasportato "tempestivamente" a Reykjavik, capitale dell’Islanda, "lo stesso avrebbe potuto essere lì sottoposto ad accertamenti diagnostici mirati, così che potesse essere individuata la causa della lesione e, conseguentemente, la terapia più indicata; la quale, considerate le condizioni cliniche generali del paziente non allarmanti, avrebbe potuto avere un effetto salvifico, in particolare con possibile riduzione del rischio di ictus dell’80-90%".

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