Milano, 1 ottobre 2020 - I quattro figli di Alice Brignoli fisicamente "sono in buone condizioni". Sono seguiti dai servizi sociali del Comune di Milano e sono ospiti di una comunità protetta, dove stanno ricevendo assistenza anche psicologica, in attesa di una decisione delle autorità sul loro destino, per iniziare un difficile percorso di reinserimento nel nostro Paese. La mamma, moglie del deceduto militante dell’Isis Mohamed Koraichi, arrestata in Siria dal Ros con l’accusa di terrorismo internazionale e riportata in Italia assieme ai bambini, ieri ha cercato di prendere le distanze dalle sirene della jihad che nel 2015 avevano spinto la coppia a lasciare Bulciago, nel Lecchese, per fare rotta verso la Siria insanguinata dalla guerra. «È stato un grosso errore, lo Stato islamico in Siria non era il posto idilliaco che ci aspettavamo, volevamo tornare indietro", ha spiegato la 42enne nel corso dell’interrogatorio in carcere davanti al gip di Milano Manuela Cannavale e al capo del pool anti-terrorismo, Alberto Nobili. La donna domani verrà interrogata dal pm Francesco Cajani, per approfondimenti su contatti, organizzazione del viaggio e anche su una eventuale rete di estremisti ancora attiva in Lombardia. Brignoli si proclama sempre di fede islamica, ma ha spiegato di aver preso le distanze da idee radicali, di essere rimasta "delusa" dal Califfato. Dopo aver ascoltato a metà 2014 il proclama con cui il califfo Abu Bakr al-Baghdadi annunciò la fondazione dello Stato islamico, Alice Brignoli e il marito di origine marocchina - come ha ricostruito la donna durante l’interrogatorio - decisero di raggiungere la Siria lasciando il paese dove, a suo dire, la famiglia non si sentiva a proprio agio, anche perché "venivamo presi in giro in quanto islamici". Così nel 2015 affrontarono un viaggio di cinque giorni in auto fino alla Siria, dove la famiglia ha vissuto a Raqqa e in altre località. «Ci aspettavamo un posto idilliaco, con case e scuole, ma abbiamo trovato la guerra", ha detto la donna, aggiungendo che più volte avrebbero tentato invano di tornare indietro. Poi ha spiegato di essere felice perché i suoi quattro figli (il più piccolo è nato in Siria) sono al sicuro in Italia. Di fronte alla foto del maggiore, sette anni all’epoca della partenza, che imbracciava un fucile, la donna ha tentato di sminuire, sostenendo che i bambini non sono stati addestrati. Era il marito, ha spiegato, che combatteva. Lei si occupava dei bambini che, trascinati in una zona di guerra dai genitori, ora dovranno affrontare un percorso per lasciarsi alle spalle un passato drammatico. Lo stesso percorso che sta affrontando il piccolo Alvin, rapito dalla madre all’età di 6 anni e portato in Siria da Barzago, nel Lecchese. È stato liberato e riportato in Italia, dove il padre ha potuto riabbracciarlo. Vite messe in pericolo da idee radicali come quelle di Samir Bougana, un altro foreign fighter cresciuto a Gavardo, nel Bresciano, che in Siria ha avuto tre figli, nati mentre infuriava il conflitto.