L’orgoglio dei marocchini milanesi tra bandiere in vetrina e racconti "Io ho aperto il primo bazar in città"

Gli immigrati sono arrivati sotto la Madonnina oltre 40 anni fa. Mohamed: "Qui ho cresciuto 4 figli". La mediatrice culturale: "La vittoria è il riscatto delle mamme, sono loro a fare più sacrifici"

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di Marianna Vazzana

MILANO

La bandiera rossa con la stella verde diventa un mantello. Un vessillo da esporre sulle vetrine o da sventolare per strada, con orgoglio. La festa della comunità marocchina a Milano è anche questo: mostrare le proprie radici anche mentre si passeggia o si lavora. Perché la vittoria ai quarti di finale dei Mondiali di calcio per la prima volta nella storia va oltre il calcio, è il riscatto di un popolo che diventa protagonista dopo aver eliminato i “grandi“ del mondo occidentale. È un pezzo d’Africa che vuole prendersi tutte le luci della ribalta. La bandiera è in bella vista pure all’ingresso di “Bazar Casablanca“ di Mohamed El Ame, tra le vie Benedetto Marcello e Scarlatti. "Ho 55 anni, sono di Casablanca e vivo a Milano dal 1990. Sarei dovuto rimanere qui per 3 mesi, invece ho scelto di viverci e ho aperto 22 anni fa questo negozio, il primo bazar marocchino in città", dove si trova di tutto. Dalle scarpe “babouche“ alla tunica djellaba. E poi kaftani, tappeti e copriletti, teiere e narghilè. Non manca il “tasbeeh“, il rosario musulmano. A comprare entrano italiani e stranieri. "Sono molto felice per il risultato del Marocco: ho guardato la partita sul tablet e ho condiviso la gioia con i clienti. Mi dispiace per il ragazzo marocchino accoltellato. Purtroppo può capitare ci siano anche delinquenti tra la folla". Anche Naima Daudagh, conterranea, mediatrice transculturale all’ospedale di Desenzano, sposata con un bresciano e mamma di una ragazza, si dice "contenta: una vittoria meritata. Rifletto sul fatto che i giocatori siano quasi tutti figli di immigrati e che questo sia un momento di riscatto soprattutto per le loro mamme. Spesso il carico familiare è sulle spalle delle donne, che fanno sacrifici. E lo constato nel mio lavoro".

Lo pensa pure Mohamed El Ame: "Io e mia moglie abbiamo 4 figli, uno di 19 che studia Giurisprudenza, gli altri di 17, 15 e 8 anni. È mia moglie a dedicarsi a loro durante la giornata". La comunità marocchina è a Milano da più di 40 anni, come si legge nel progetto “MilanoAttraverso. Persone e luoghi che trasformano la città“, dell’Asp Golgi-Redaelli. All’inizio le condizioni di vita erano di grande marginalità e molti sopravvivevano soprattutto con il contrabbando di sigarette. Poi la situazione è migliorata, dagli anni Novanta. Approfondendo si scopre che la cittadina di Fqih Ben Salah (60mila abitanti) è conosciuta in Marocco come “la petite Milano”: ogni famiglia del luogo vanta almeno un parente qui e ciascuno ha contribuito a migliorare il borgo.

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