"Lo smart working? È una giungla"

Lavoro senza limiti e “furbi“ che ne approfittano. I sindacati chiedono un incontro al Comune: servono regole

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di Andrea Gianni

"Dopo le 15 dovrei spegnere il computer perché sono in cassa integrazione, nessuno me lo chiede ma di fatto sono costretto a lavorare fuori orario perché altrimenti rischio di rimanere indietro. Il mio telefono è sempre acceso, spesso mi chiamano anche di domenica". Luca, che chiede di essere indicato con un nome di fantasia, sta sperimentando tutte le distorsioni di un lavoro da casa introdotto all’improvviso per il 90% dei suoi colleghi. È impiegato nella sede milanese di una multinazionale che lavora anche con mercati esteri: per lui lo smart working si traduce in un lavoro continuo, senza il filtro degli orari d’ufficio. L’emergenza sanitaria ha innescato un processo "dal quale non si tornerà più indietro". Considerazione che mette d’accordo sindacati, imprese, associazioni di categoria ed esperti. Le posizioni sfumano quando si discute delle regole nella giungla, per trovare un punto d’incontro tra la necessità di evitare l’abuso di un lavoro a tutte le ore e quella di tenere sotto controllo i “furbi“, nel privato e nella Pa. La frase del sindaco di Milano Giuseppe Sala ("è il momento di tornare a lavorare...") ha fatto discutere. "Mi sembra l’espressione di uno stereotipo – spiega Natale Cremonesi, segretario generale della Fp Cgil di Milano – quello del pubblico dipendente fannullone. Invece il lavoro a distanza ha fatto aumentare la produttività, i dipendenti danno un giudizio positivo". Il sindacalista cita un sondaggio che la Cgil di Milano ha svolto raccogliendo le opinioni di 1.500 dipendenti pubblici dei Comuni di Milano, Sesto San Giovanni e San Donato, di enti come Inps, Agenzia delle entrate, Città metropolitana. "Non si tornerà indietro – prosegue – ma lo smart working va regolamentato".

Tema che è anche al centro di una richiesta di incontro che i sindacati Fp-Cgil, Cisl-Fp, UilFpl e Csa hanno inviato a Christian Malangone, dg di Palazzo Marino, dove i dipendenti a casa sono ancora circa settemila. Tra le proposte un "riconoscimento economico a favore di chi ha lavorato in presenza nella fase di massima emergenza" e anche "a chi ha lavorato in lavoro agile considerato il disagio legato all’utilizzo di attrezzature e collegamenti propri, all’uso forzato dell’ambiente casalingo come luogo di lavoro, al consumo del pasto, alla mancata erogazione di salario accessorio". Il professore Maurizio Del Conte, presidente di Afol e padre della legge 81 del 2017 sul lavoro agile, più che di smart working parla di una "remotizzazione forzata domiciliare". Che, ora, va regolamentata. "Non servono regole rigide – spiega – ma piuttosto lo strumento della contrattazione aziendale. Passare alla concezione di un lavoro che premia chi raggiunge obiettivi e risultati, piuttosto che chi passa più ore in ufficio". Sulla stessa linea il segretario della Cisl Fp di Milano, Giorgio Dimauro: "Temi importanti per la negoziazione sindacale sono i tempi di connessione e gli strumenti. Risparmi generati possono essere investiti in smart education per migliorare le skill dei dipendenti".

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