ANNA MANGIAROTTI
Cronaca

Lo sguardo di Franco Raggi: "Un flop gli esercizi di stile slegati dalla memoria"

Commercio e abitazioni non devono stare in blocchi separati ma mescolarsi. La bellezza di Milano è nascosta tra sale da biliardo e negozi che resistono.

Commercio e abitazioni non devono stare in blocchi separati ma mescolarsi. La bellezza di Milano è nascosta tra sale da biliardo e negozi che resistono.

Commercio e abitazioni non devono stare in blocchi separati ma mescolarsi. La bellezza di Milano è nascosta tra sale da biliardo e negozi che resistono.

Protagonista sulla scena internazionale, e dell’estroversa esposizione “Franco Raggi. Pensieri instabili”, curata da Marco Sammicheli e Francesca Pellicciari, alla Triennale fino al 13 aprile.

La mostra, architetto Raggi, oltre alla sua sorprendente carriera in mezzo secolo d’attività, ci racconta la Milano dove si è svolta?

"Racconta la mentalità della Milano dove ho lavorato al più per allestimenti di mostre, ma anche luogo di opportunità per guardare altrove. Come ho fatto, pur amandola, restando qui a vivere".

Nel catalogo Electa, un suo intervento del 1982 è critico riguardo a MITO (Milano-Torino), sterminata metropoli teorica. Oggi la nostra identità urbana è del tutto smarrita?

"Non lo sarà finché Milano rimarrà inclusiva: ci si poteva vivere anche senza essere ricchi, ammessi i ceti popolari in centro. Con il succedersi del capitalismo finanziario all’età industriale, oggi la rendita fondiaria ha scardinato il tessuto sociale".

E archistar internazionali sono state chiamate a dare lustro a progetti come CityLife.

"Un fallimento. Esercizio formale slegato dalla memoria della città. Commercio e abitazioni concentrati in blocchi separati, mentre dovrebbero mescolarsi".

Ma ricominciamo dagli anni Quaranta, quando Franco Raggi nasce nella Milano devastata dai bombardamenti e ansiosa di risorgere. Ricostruzione giusta (rispettosa dei caratteri morfologici e sociali del tessuto urbano) o ingiusta?

"Quando ho cominciato a guardarla, ho scoperto il segno di grandissimi architetti: Ponti, Magistretti, Gardella... ma anche di un bravissimo architetto del Comune come l’Arrighetti, coraggioso, colto, attento, misurato".

Perché il ragazzo Raggi nato in una famiglia di medici fu attratto dall’architettura?

"Attratto dal costruire, semmai, a cominciare dagli aeroplanini e dalla meccanica del corpo".

Arriviamo al 1978 e a “Roma interrotta”: quel suo allestimento segnò la storia dell’architettura italiana.

"L’inaugurazione, il giorno dopo il ritrovamento del corpo di Aldo Moro nel bagagliaio di un’auto. Erano gli anni della transizione dall’Italia del terrorismo a quella del “ritorno al privato“. E Milano la visse anche impacchettando i monumenti di Leonardo e di Vittorio Emanuele II. Il Comune concedeva licenza di trasgressione, che diventava arte pubblica. E il pubblico guardava divertito".

Nel 1983, “Le case della Triennale”, otto progetti di ambienti tematici Contemporanei. Oggi chi può permettersi di acquistare una casa e all’interno un architetto per un esercizio di design?

"Avevo progettato la casa degli sposi, delle vacanze, dei sogni, anche la casa in comune: rifiutata la famiglia, un altro tipo di gruppo si costituiva, anche per risparmiare. Io stesso vivevo in comune con due amici, con la benedizione della mamma e della zia".

Sempre nel 1983 aveva previsto la rivoluzione informatica. Gli uffici sono infine spariti?

"Consideravo la fine del pendolare: casa-ufficio, ufficio-casa... preoccupandomi che gli venissero a mancare i tempi morti del pendolarismo: vera libertà di pensiero. Diciamoci la verità, che palle lavorare sempre a casa!".

Anche l’hotel ha considerato. Le piace che Milano ne sia invasa?

"Purché le strutture alberghiere, di cui c’è bisogno, siano belle e praticabili dal punto di vista economico. Io avevo denunciato un certo lusso dozzinale, moquette a pelo altissimo, laccature al poliestere, tende decorate pesanti e polverose, il rumore sordo della metropoli attraverso le finestre aperte".

Incarico di grande respiro sociale cui aspira un architetto è l’arredo urbano. Perché non ne riconosce le caratteristiche intorno alla Velasca?

"Si può dire che è in una piazza, ma girato l’angolo ne rimane solo la massiccia memoria. L’arredo urbano deve ribadire invece puntiglioso la sua presenza".

A lei incarichi pubblici sono stati affidati a Milano?

"No, mi hanno chiamato solo come presidente o membro di giuria in concorsi, come per la risistemazione del Vigorelli".

Nella Milano che ama, particolari luoghi d’affetto?

"Bellissima, Milano, nelle arti nascoste, ma difficili da scoprire. A una mia amica americana curiosa di milanesità, ho mostrato la storica sala biliardo a Porta Genova, il negozio Tessuti Raponi con i fiocchi alle vetrine, la Rosticceria Giannasi in corso Lodi dal 1958. Spero restino luoghi di resilienza".