Le quattro vite del “re” dei panini milanesi

Da mezzofondista di livello a clandestino su una nave cargo diretta a New York. Poi la ricetta regalata da un clochard, l’idea e la svolta

Migration

di Annamaria Lazzari

Le quattro vite straordinarie di Simone Ciaruffoli, ceo di Burgez, 50 anni. Il fondatore del fast food "più scorretto al mondo" (e direttore creativo dell’agenzia Upper Beast Side) le racconta nell’autobiografia "Il vangelo secondo Burgez" (Mondadori Electa). Un libro che narra "l’impresa imprenditoriale, di marketing, ma soprattutto umana" che in cinque anni lo ha condotto "dalla povertà assoluta alla ricchezza". Ma anche il suo cuore messo a nudo.

Un flash dalla sua prima vita. Cosa si ricorda dei primi vent’anni trascorsi a Fano, nelle Marche, dove è nato?

"I giorni un po’ annoiati e gli allenamenti estenuanti, anche due volte al giorno. Non ero un alunno modello e mi sono appassionato alla corsa fino a diventare campione italiano nel mezzofondo".

Nel 1990 appende le scarpe al chiodo perché è stufo e inizia la seconda vita. Cosa fa?

"Avevo a malapena il diploma di terza media. Scopro però la lettura e il cinema e mi si apre un mondo. Mi mantengo con i lavori più vari, anche al mercato, mentre studio da solo. Fino al 2001".

Nel 2001 muoiono sua nonna, sua madre, uno dei suoi fratelli. Suo padre finisce nei guai. L’anno dopo inizia la terza vita a Milano.

"Vengo qui per frequentare un corso di redazione televisiva. E mi succede il contrario di quello che era successo a Roma dove avevo trascorso sei mesi, scoprendo una città dedita al cibo e al divertimento ma poco al lavoro. A Milano ho trovato un ambiente veloce, meritocrazia e competizione. Tutto quello che cercavo".

E diventa sceneggiatore di Camera Café e direttore creativo di Ovo. Nel 2012, per la sua quarta vita, molla tutto e con pochissimi soldi va a New York ma da clandestino, partendo su un cargo da Genova. Che viaggio è stato?

"Brutto e pieno di tensione. Avevo paura del freddo, di rimanere senza mangiare, di essere beccato…Anche se poi alla fine è stata una delle cose più semplici che abbia mai fatto".

A Manhattan incontra un barbone che le dà l’idea di aprire un fast food affidandole un diario dove c’è una ricetta dell’hamburger. "L’ho visto come segno del destino", racconta. Ma l’inizio non è facile: casa in via Padova, porte chiuse in banca...

"I primi soldi li ha messi nell’azienda una mia ex fidanzata. Fondamentale poi Martina che è rimasta mia socia, con la sua esperienza nella ristorazione. Il 12 novembre del 2015 Burgez apre il suo primo store in via Savona".

Per farla breve oggi ha dieci punti vendita, otto a Milano. Come ha inciso la pandemia nella crescita della sua azienda?

"Burgez sta andando bene lo stesso, grazie anche al delivery (consegne a domicilio, ndr) che abbiamo lanciato dal 2015. Il fatturato quest’anno è quasi raddoppiato rispetto all’anno scorso, intorno ai 10 milioni di euro. Certo, le nuove aperture sono slittate. Ma la mia preoccupazione va ai miei colleghi: mi propongono di rilevare a Milano locali chiusi tutti i santissimi giorni. Una cosa mai vista. Quello che penso sul lockdown l’ho scritto nel libro: se chiedessimo a un bambino come salvarci dal virus, ci direbbe di restare a casa. Così ha fatto il Governo".

Le grandi città sono destinate al tramonto per lo smart working?

"No, perché lo smart working non è uno strumento così moderno e credo che ce ne stiamo accorgendo. Soprattutto le donne che hanno lottato per avere una vita fuori da casa. Adesso invece che l’aspirapolvere diamo loro il computer… Non sono però pessimista sul futuro: penso che tutto tornerà come prima. La normalità è dietro l’angolo, abbiamo bisogno di vivere, di incontrarci, di aggregarci".

Ci sarà una sua quinta vita?

"Sì. Già nel 2022 probabilmente. Sempre un’avventura imprenditoriale...".

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro