"Le baby gang a Milano: stessa logica delle iene"

Marco Calì, dirigente della Squadra Mobile: in queste bande di “baby” c’è poco i ragazzini stando dentro un branco vogliono uscire dall’anonimato

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di Marianna Vazzana

Ragazzini di 12 anni picchiati e spogliati di cellulari, soldi, catenine. Baby-gang in azione hanno fatto scattare l’allarme tra i cittadini delle zone di CityLife e corso Sempione e pure al quartiere Primaticcio. Purtroppo, non è un fenomeno nuovo. Ne parliamo con Marco Calì, dirigente della Squadra Mobile.

La logica è immutata nel tempo o nota differenze?

"Il modo di agire è sempre quello: la logica del branco. Chi aggredisce si sposta in gruppo puntando a ragazzini più piccoli, isolandoli e minacciandoli. La logica è quella delle iene che infieriscono sulla vittima sacrificale. Si continua a parlare di ‘baby gang’ ma di ‘baby’ c’è poco, semmai le vittime lo sono, perché di solito sono più piccole degli aggressori. Quello che abbiamo visto nell’ultimo anno è una multietnicità di estrazione, i gruppi che agiscono sono ‘misti’, composti da ragazzi italiani o nati in Italia da genitori stranieri, di seconda o terza generazione. Insieme possiamo trovare il ragazzo italiano, quello di origine cubana, romena, albanese o egiziana. In genere solo i nordafricani agiscono in gruppi ‘monoetnici’, coesi e compatti".

Cosa li spinge? Avere oggetti materiali o c’è altro?

"Con la logica del branco sfogano un senso di inadeguatezza nei confronti della società. Con la forza impongono il loro marchio di fabbrica, un segno di riconoscimento. Vogliono emergere da un possibile anonimato. Dopo il lockdown, poi, abbiamo notato una maggiore violenza, azioni sproporzionate rispetto all’obiettivo. Come se ci fosse stata una compressione e poi una decompressione. Lo abbiamo visto anche nei casi di aggressioni nei luoghi della movida, in cui l’obiettivo non era neppure rapinare. Abbiamo visto l’espressione di una frustrazione. In questo caso siamo di fronte a ragazzini che vogliono dare un senso alla loro giornata. Le loro sono azioni “random”, in più punti della città. Rubano bici, scarpe, accerchiando la vittima in 5, 6, 7 persone".

Che età hanno i rapinatori?

"Dai 16 ai 19 anni. Spesso ci troviamo a interagire sia con la Procura dei minori e sia con quella ordinaria. C’è sempre un leader che, anche in caso di controllo di polizia, cerca comunque di trasmettere agli altri sicurezza. Ma, presi singolarmente, i componenti di queste bande si sciolgono come neve al sole".

Da dove provengono?

"A volte da fuori città, a volte da quartieri popolari. Non c’è un unico luogo. Chiaro che puntino al centro, dove è più semplice trovare prede da aggredire e derubare. Non sempre arrivano da famiglie in difficoltà, da contesti degradati".

Come vi state muovendo nei quartieri colpiti di recente? "Stiamo monitorando le zone, non solo quelle, con grandissima attenzione, c’è grande sinergia tra commissariati e Squadra Mobile. Ci sarà una risposta. Queste azioni non sono solo dannose per una questione materiale: il danno è psicologico, i ragazzini aggrediti perdono la tranquillità. E bisogna agire per evitare l’effetto emulativo".

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