L’armiere Bellante tra rapine e ricatti "Questi tre saranno la mia pensione"

Blitz dei carabinieri: 30 arresti. Nell’abitazione del pregiudicato la base operativa per i traffici illeciti. Le società per dare un lavoro fittizio ai detenuti amici e la pistola fornita al killer di Donato Carbone

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di Nicola Palma

"Io adesso appena esco, non voglio sapere né fumo, non mi interessa più di niente, mi dedico al Topo, a Gianni il rosso e a Parone. Basta, a tutti e tre mi dedico. Questi sono la mia pensione". A un certo punto, Salvatore Bellante, nella diversificazione delle attività illecite che gli ruotano perennemente attorno, decide di concentrarsi su rapine ed estorsioni, pur continuando in parallelo a trafficare droga e a smerciare mitragliatrici e pistole come fosse il titolare di un’armeria. Ne parla più volte con la moglie Adele Di Fazio nel loro appartamento di Cologno Monzese, che si trova in un palazzo ubicato, ironia della sorte, nella via intitolata al generale dell’Arma Carlo Alberto Dalla Chiesa. E ieri all’alba sono stati proprio i carabinieri a fare irruzione lì per arrestarli: i coniugi e altri 28 indagati (su un totale di 63) sono così finiti in cella a valle di una lunga e complessa indagine avviata nel 2017 dai militari della Tenenza di Cologno e della Compagnia di Sesto San Giovanni, coordinati dal pm Michela Versini e dal capitano Antonio Belardo.

Un’indagine che ha scoperchiato un vero e proprio vaso di Pandora, con una serie infinita di reati e di rimandi ad altri personaggi coinvolti in altre vicende criminali: da Edoardo Sabbatino, a cui Bellante avrebbe venduto la 357 magnum utilizzata per uccidere Donato Carbone il 16 ottobre 2019 a Cernusco sul Naviglio, a Carlo Zacco, figlio del capo palermitano della "Duomo Connection" Antonino, a cui si sarebbe rivolto Pietro D’Amico perché gli indicasse gli uomini che avevano massacrato di botte il figlio. Una ragnatela di rapporti che vedeva sempre al centro Bellante, che governava dai domiciliari i corrieri di hashish, cocaina e marijuana e i fornitori-trasportatori di armi, a cominciare da Orazio Nasca, stipendiato a 7-8mila euro al mese come presidente del consiglio d’amministrazione della cooperativa Sintesi. Sì, perché il sessantatreenne originario di Caltanissetta aveva pure messo in piedi "un complesso sistema di imprese", annota il gip Marco Formentin nelle 309 pagine di ordinanza di custodia cautelare, che usava in parte per "occultare e reimpiegare" gli incassi illegali in parte per far uscire i detenuti amici assumendoli in maniera fittizia. Le teste di legno scelte dal capo sottoscrivevano gli atti ufficiali, "dietro lauto compenso", e movimentavano il denaro, accreditando somme sui conti per poi prelevarne il controvalore in contanti o firmando assegni. Una lavatrice per ripulire i quattrini accumulati con lo spaccio all’ingrosso e le intimidazioni agli imprenditori ("Gli tiri quattro revolverate e lo fai spaventare..."). E poi c’erano i progetti di rapine in casa, che per un motivo o per un altro sono sempre andati a monte (con gli investigatori comunque appostati in zona e pronti a intervenire nel caso gli operativi fossero passati all’azione).

Negli atti, emerge infine la capacità di Bellante di reperire armi (anche da guerra) a getto continuo, sempre appoggiandosi al suo "commerciante di fiducia" Nasca (arrestato a fine 2021 dalla Mobile con cinque kalashnikov, tre pistole e sei bombe a mano alla Comasina) e a Vincenzo Bernabò. È proprio quest’ultimo, nel febbraio 2018, a recarsi a Buccinasco per l’acquisto di due pistole calibro 7.65 per "testarne le caratteristiche e la funzionalità". Una compravendita preliminare, insomma, in vista di ordinativi ben più corposi (10-15 al mese). "Uno come me, viene uno e dice: ha bisogno di dieci pistole – si vanta Bellante con un interlocutore –. Sì, quando le vuoi? E se gli dico domani mattina io ce le ho! A portata di mano... due Skorpion... dammi i soldi, dammi 10mila euro e ti do tutte cose".

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