L’agguato del 28 aprile ’45 "Una via per Ugo Gobbato"

Le carte processuali sull’omicidio del dirigente Alfa, dimenticato da Milano. "Il mio posto è accanto agli operai". L’unico imputato salvato dall’amnistia

Ugo Gobbato

Ugo Gobbato

Milano - "Solo su un punto l’istruttoria ha raggiunto risultati certi e convincenti: nella valutazione della personalità e della figura morale della parte offesa Ing. Gobbato". Un uomo "stimato e benvoluto da tutti i suoi collaboratori e dipendenti", che "non volle mai interessarsi di politica", perché "era un tecnico e volle rimanere esclusivamente un tecnico, nonostante la posizione elevata raggiunta nel campo dell’industria nazionale". Rifiutò di iscriversi al Partito Fascista, "aiutò come e quanto poteva il movimento partigiano mediante rifornimenti di viveri e denaro, consentendo che molti membri di esso continuassero indisturbati a prestare servizio alle sue dipendenze presso l’Alfa Romeo". A tratteggiare la figura dell’ingegnere Ugo Gobbato è la sentenza del 13 luglio 1960 con cui il Tribunale di Milano dichiarava il "non doversi procedere" nei confronti dell’operaio Antonio Mutti, accusato di aver ucciso il dirigente d’azienda il 28 aprile 1945. Il reato era infatti "estinto" per effetto dell’amnistia che mise una pietra sopra alcuni dei fatti di sangue che seguirono la liberazione dell’Italia dal nazifascismo. Dalle carte processuali dell’epoca, recuperate dagli archivi, emerge il profilo di una vittima innocente che Milano ha dimenticato. "Gobbato è una figura limpida, di alta statura morale e di grande sensibilità sociale che appartiene alla storia della nostra città", spiega Walter Galbusera, presidente della Fondazione Anna Kuliscioff. "Mi auguro che il Consiglio comunale gli dedichi una via o un giardino – prosegue – oppure affigga in sua memoria almeno una targa dove fu assassinato".

Alla figura di Gobbato è dedicato lo stadio comunale di Pomigliano d’Arco e una via nella città industriale alle porte di Napoli perché fu lui, su incarico dell’Iri. a costruire il primo nucleo della fabbrica Alfa che si occupava di motori d’aereo, portando lavoro in una zona depressa. Nel paese in provincia di Treviso dove Gobbato nacque nel 1888, Volpago del Montello, è attiva l’associazione Amici della Storica Lancia. Alla sua figura di pioniere dell’industria automobilistica sono stati dedicati libri e ricerche, ma nel Milanese si è perso il ricordo di un dirigente legato alla storia del territorio “locomotiva d’Italia“. Memoria che riaffiora dalle carte processuali e dalla sentenza del 1960 che mise la parola fine a una lunga vicenda giudiziaria. Il 28 aprile 1945 Gobbato, direttore generale dell’Alfa Romeo, fu "barbaramente trucidato a colpi d’arma da fuoco" a Milano, in viale Duilio, nei pressi della sua casa in zona Fiera. A sparare furono alcune persone a bordo di "un’autovettura piccola e di colore scuro" che, dopo l’agguato, fuggirono. Il giorno prima, il 27 aprile, Gobbato era stato processato da un Tribunale politico formato da partigiani, come tanti altri dirigenti d’azienda che operarono sotto il regime fascista e l’occupazione tedesca. Processo che si concluse con la piena assoluzione, grazie anche alle testimonianze degli operai che intervennero in sua difesa.

Lui, dopo il 25 aprile, aveva scelto di non nascondersi, "affermando che il suo posto doveva essere accanto ai suoi operai". E proprio quell’assoluzione, preceduta da una sentenza analoga emessa il giorno prima, sarebbe stata all’origine del suo omicidio. L’ex operaio dell’Alfa Antonio Mutti, infatti, militante comunista e perseguitato politico, aveva puntato il dito contro Gobbato nei processi, assieme a Gastone Mattarello, ma le accuse si erano rivelate infondate. "Diede chiari segni – scrive il sostituto procuratore dell’epoca – di non gradire le sentenze di piena assoluzione". Mutti, unico a finire sotto processo per l’omicidio, sulla base di "indizi gravi e numerosi", fu infine salvato dall’amnistia. "Per tutti coloro che erano stati in precedenza estraniati dalla vita politica ed avevano subito persecuzioni le persone occupanti un qualunque posto di comando erano per antonomasia “fascisti“ – recita la sentenza –. Il delitto fu determinato in parte da motivi politici e perciò il reato ascritto va dichiarato estinto per effetto dell’amnistia".

 

 

 

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