Parsi
Jannik Sinner è un ragazzo di 22 anni la cui tenacia, determinazione, capacità di applicazione a ciò che per lui è fondamentalmente espressione di ciò che gli interessa e ama fare, dovrebbero costituire – tasse a parte – un valido riferimento per i suoi coetanei. E per tanti adulti che,nei momenti di difficoltà, si sono persi non avendo, fuori del labirinto, Arianna col gomitolo-fil rouge che consente di entrarvi, visitarlo, affrontare il Minotauro della bestia umana, farlo fuori ed uscire trionfanti e liberi. Liberando tanti altri. Arianna è la palla da tennis che rappresenta quel gomitolo da srotolare quando, alle prese con un terribile avversario, si vuole trovare la via del ritorno a casa. Una casa nella quale ci sono dei genitori da riconoscere, amare, ringraziare. Perché hanno permesso al figlio di sperimentare, di mettere alla prova se stesso, il suo corpo, il suo immaginario, la sua ragione e di individuare qualcosa in cui convogliare tutte le proprie energie.
Quello che Sinner ha fatto, 48 anni dopo Panatta, conquistando il Grande Slam, è stato applicarsi a migliorare il suo stile di gioco, nel pacifico intento di battere terribili avversari. E per fare questo che lui ha, giustamente, chiamato "lavoro", ha rinunciato ad andare al Festival di Sanremo dove, certamente, sarebbe stato osannato. Un giovane che, seppure intenzionato a vincere, comprende che ogni vittoria è frutto di un impegno che fa della disciplina una fortuna dovuta all’autonoma assunzione di una responsabilità che è individuale, di squadra e sociale. Agire in modo autonomo, coraggioso, competente, libero da condizionamenti se non quelli legati al raggiungimento di un obiettivo e/o di un sogno, è giocarsi la vittoria e anche di accettare di non ottenerla, imparando da ogni sconfitta che se si continua si può migliorare. E, comunque, godere di un risultato che, anche se non si arriva primi, è capace di dare un senso pieno alla vita. Per dirla con Mandela :"Io non perdo mai! O vinco o imparo" . E questo consente a chi ha l’umiltà la forza, la continuità di sperimentare, di ottenere quel “consenso” che,se viene o non viene dagli altri, permette di avere un "vero sé".