La polvere e il "dottor Asfalto"

Ernesto Guglielminetti, l’italo-svizzero di Domodossola che ricoprì le strade con il catrame

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Piero

Lotito

Pavé o asfalto, questo è il problema. Se sia più nobile porre il piede o lo pneumatico sulla dura e gagliarda pietra o prender buche e calore sul molle mare di bitume. L’amletico dubbio, da tempo pendente su Milano, sembra aver preso una decisa piega verso la seconda soluzione: alla pietra delle origini si preferisce il conglomerato sbrigativo dei tempi moderni: una passata della spanditrice e una del rullo compressore. Ed è fatta. Il pavé l’è morto o poco ci manca. Via Palestro, suggestivo angolo di Milano che risuona dei nomi del Piermarini e di Pollack (misero mano ai Giardini e alla Villa Reale), è stata sepolta sotto una coltre di fumante catrame, e altrove nel centro della città si temono altre bollenti colate. Il pavé, dicono in Comune, è pericoloso per biciclette e scooter, e quella dell’asfalto è la strada obbligata se si vuole promuovere una mobilità leggera (monopattini compresi, si suppone). Vincerà dunque l’asfalto? Capitoleranno anche via Torino, corso Lodi, via Turati e via Manzoni? Ma no, dicono ancora a Palazzo Marino: in certi luoghi si manterrà il ricordo storico.

I fautori del bitume possono anche pensare che se nel gennaio 1901 fosse già stato inventato l’asfalto, non ci sarebbe stato bisogno di spargere paglia sul pavé di via Manzoni per non disturbare Giuseppe Verdi morente nella sua stanza al Grand Hotel et del Milan: il rumore delle carrozze sarebbe stato sopportabile anche all’orecchio assoluto del maestro. L’asfalto, invenzione destinata a far esplodere il mondo dei trasporti, arrivò giusto un anno dopo: a Monaco, ad opera d’un gagliardo medico 40enne con padre italiano e madre svizzera. Era dunque il 1902, quando Ernesto Guglielminetti, sollecitato dal principe Alberto I a fare qualcosa per abbattere la polvere sollevata sulle strade dalle prime auto, stese un manto di catrame su un tratto di strada di 40 metri davanti al Museo Oceanografico: era il primo esperimento di asfaltatura. Un successo, che venne presto replicato dal Touring Club di Francia a Champigny, alla periferia di Parigi, in una riuscita prova ufficiale.

Ma chi era lo straordinario inventore, e perché il principe si era rivolto a lui? La madre del genio, Louise Furrer, era originaria del Villaggio del Sempione, dove a soli 13 anni aveva sposato Antonio Guglielminetti, italiano di Domodossola, che subito dopo il matrimonio si arruolò nei garibaldini sognando l’unità d’Italia. Al ritorno, andò a vivere con la moglie a Briga, e qui nel 1862 nacque Ernesto, che studiò a Friburgo e a Berna si laureò in medicina. Nel 1886, aperto com’era a nuove conoscenze, trovò lavoro nell’ospedale coloniale olandese di Padang, a Sumatra. Poi esercitò anche a Giava e nel Borneo. Terminata dopo quattro anni la missione nelle Indie, Guglielminetti fece ritorno in Svizzera e si dedicò allo studio della respirazione ad alta quota, partecipando tra l’altro a una spedizione sul Monte Bianco dalla quale ricavò preziose indicazioni per la progettazione d’un respiratore.

Nominato nel 1894 medico a Monaco, ebbe appunto dal principe Alberto il permesso di utilizzare il catrame delle officine del gas, fin lì gettato in mare come prodotto di scarto. E lui, ricordandosi di come i pavimenti di legno dell’ospedale di Padang fossero rivestiti di catrame per essere impermeabili e facili da pulire, il 13 marzo 1902 asfaltò quei 40 metri che gli valsero l’appellativo di “dottor Goudron”, dottor Asfalto.

Divenuto sempre più famoso di congresso in congresso (nel 1926 anche a Milano, dove si diede atto dell’affacciarsi d’un temibile concorrente della pavimentazione bituminosa, il calcestruzzo), Guglielminetti fondò la “Lega per la lotta alla polvere” e raccolse in poco tempo il denaro sufficiente per catramare un tratto della statale da Nizza a Monaco. Ebbe poi modo di sperimentare il suo respiratore in una terribile circostanza, l’esplosione il 10 marzo 1906 nelle miniere di Courrières in Francia, che fece 1.099 vittime. I soccorritori francesi e tedeschi, dotati dei suoi respiratori, prodotti dalla ditta tedesca Dräger, potettero spingersi nei cunicoli invasi di gas tossici. L’intervento ebbe grande risonanza in tutto il mondo e il respiratore di Guglielminetti venne adottato dai vigili del fuoco di Parigi, da alpinisti, piloti, sommozzatori.

Portato ad aiutare senza nulla chiedere (non brevettò nessuna delle sue invenzioni), Guglielminetti si diede da fare anche durante la prima guerra mondiale facendo da tramite tra tedeschi e francesi per proteggere i prigionieri di guerra. Insignito della prestigiosa Legion d’onore, l’italo-svizzero non si curò di chi criticava il suo asfalto, che nelle giornate più calde tendeva a sciogliersi: un giorno la sua invenzione, migliorata, avrebbe ricoperto il mondo (pur provocando, si sa, non pochi guai).

Ma lui, il “dottor Asfalto”, morto a Ginevra il 20 febbraio 1943, non poteva sapere come sarebbe andata a finire: gli era bastato sconfiggere la polvere. Anche Milano si trova oggi a iscriversi al suo partito, quello del bitume.

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