"La mia vita tra vette e baita, ho scoperto la felicità"

Dalla conquista dell’Everest a 66 anni ("Sono rimasto su un’ora...") all’amatissima famiglia

"Io ho sofferto la fame, uno che non l’ha mai provata non riesce a capirlo. Ho iniziato a 13 anni a fare il muratore e sono sempre andato in montagna, quando potevo". Una vita a contatto con la natura, anche se ha incontrato diverse difficoltà: Mario Curnis, classe ’36, è uno degli alpinisti italiani più famosi. Oggi vive con la moglie Rosanna Giudici, "la mia forza", in una baita quasi isolata a San Vito, vicino a Nembro, nella valle bergamasca, "con i nostri gatti, i prati, il bosco e i caprioli". E il 15 di marzo è uscito il suo “Diciotto castagne“ (Rizzoli). Nel volume il racconto delle sue imprese di alpinismo si incrocia con quello dell’amore per la moglie, e con i ricordi dell’infanzia a Nembro, dalla spedizione sull’Everest a quella invernale e pericolosissima sul Malaku, fino al trasferimento nella casa di San Vito.

Nella sua baita pensa di aver trovato la sua felicità?

"Io ho sempre sognato di vivere la mia vita in un posto come questo. Io e mia moglie siamo felicissimi di vivere nella nostra baita questa parte della nostra vita. Serve una camminata di un quarto d’ora per raggiungere la nostra casa. Con tutte le spedizioni che ho fatto, il mio sogno era essere qui, questo per me è il posto più bello del mondo".

Com’è stato raggiungere la vetta più alta del mondo a 66 anni?

"Guido Monzino, il capo della spedizione negli anni ’70, non mi fece arrivare in cima per un diverbio. Ho dovuto aspettare trent’anni per farlo, ma non ho mai mollato. Poi, quando siamo arrivati, siamo stati su un’ora, io e Simone Moro. Ma è un sogno che, una volta che si è avverato, è finito".

Qual è stata la spedizione che le è piaciuta di più?

"L’Everest è la montagna più alta, ma quella che mi è piaciuta di più è il Makalu, 8.500 metri. È stata la prima volta al mondo che un gruppo di alpinisti hanno tentato quest’esperienza in inverno. Abbiamo portato a casa la pelle a stento. Eravamo isolati, non avevamo né telefono né nulla..."

Come mai ha sentito il bisogno di raccontare la sua vita?

"Ho sempre tenuto un diario delle mie spedizioni, ma non ho mai scritto per i soldi. Volevo scrivere un libro per mia moglie e i miei figli: volevo che vedessero cosa facevo. Io ho sempre lavorato, avevo una famiglia da mantenere, anche mentre facevo le spedizioni. La mia forza è sempre stata mia moglie".

Chiara Zennaro

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