L'Aura da Brescia a Milano: "Io, l’ex pendolare. Quanti apostrofi prima della città"

La cantante ha scelto di vivere nel capoluogo lombardo per dare uno spessore diverso alle meccaniche sentimentali di album come “Il contrario dell’amore”

L'Aura

L'Aura

Milano, 14 gennaio 2018 - La cantante con l’apostrofo alla scoperta della grande città. Laura Abela, per i frequentatori delle hit-parade semplicemente L’Aura, ha scelto di vivere qui per dare uno spessore diverso alle meccaniche sentimentali di album come “Il contrario dell’amore”, dato alle stampe lo scorso settembre dopo sei anni di relativo silenzio.

Quand’è iniziato il suo rapporto con Milano?

«Quasi vent’anni fa. Il mio primo manager abitava qua, così tutti i sabati e le domeniche prendevo il trenino dalla mia Brescia e venivo a lavorare; sulle canzoni, sulla dizione, sul canto, andavo ai concerti, conoscevo artisti. Avevo quattordici anni».

Poi il pendolarismo è finito?

«Sì perché mi sono trasferita negli Stati Uniti, a Berkeley. Una volta rientrata, ho passato a Brescia un altro paio d’anni prima di andare a vivere in provincia di Milano, a Cernusco sul Naviglio, dove lavora mio padre; un modo per avvicinarmi, ma non troppo. Il mio sogno, però, è sempre stato quello di venire ad abitare in città».

Poi cos’è successo?

«Mi sono innamorata e con quello che sarebbe diventato mio marito siamo andati a vivere a Cremona. Lavorando, però, entrambi nella musica - lui fa il produttore - ci siamo resi conto che non potevamo non trasferirci a Milano».

E ora?

«Lui ha il suo studio in via Ripamonti, mentre casa l’abbiamo presa in piazza Cinque Giornate; una zona che mi piace molto, perché sa di Milano vera. Frequentata da milanesi doc».

Nel frattempo è nato Leonardo. Qual è l’aspetto del carattere milanese che le piacerebbe acquisisse di più? E quale di meno?

«Sicuramente vorrei che acquisisse la grande apertura mentale di questa città, l’attitudine a trovarsi a suo agio davanti a persone e ad idee diverse. Mi piacerebbe meno che assorbisse l’aggressività che a volte può riversarti addosso perfino l’edicolante se indugi troppo nelle tue scelte. Diciamo che a volte Milano manca un po’ di relax».

E invece l’attivismo in qualche modo va bilanciato.

«Già, ma gli spazi di decompressione sono molti meno di quelli che vorrei. Invece di creare altri centri commerciali e altri parcheggi - che servono, ma ce ne sono già abbastanza - bisognerebbe investire di più sul verde, seguendo l’esempio di metropoli messe meglio da questo punto di vista come Londra o Parigi. Perché anche Milano può ambire a quei risultati con una maggior cura di ambiente e salute. Il Parco Sempione è bello, ma piccolo rispetto a Hyde Park».

Tra Mary Jane, Lucy e Lisa, le tre figure femminili protagoniste de “Il contrario dell’amore”, quale si troverebbe più a suo agio in una città come questa?

«Probabilmente Mary Jane perché, dei tre, è il personaggio più urbano e meno spensierato, che in ogni momento vive il presente sulla pelle».

Luoghi del cuore?

«Pinacoteca e Orto botanico, Brera con i suoi vicoli, i suoi negozi e le sue cartomanti. Ogni volta che vado in centro, poi, ho quei cinque minuti di sindrome di Stendhal perché il Duomo è un’opera d’arte a cui non riesco a fare l’abitudine. Milano m’ha dato tanto in questi anni e, in occasione del lancio del mio ultimo album, poter cantare alcuni brani su una grande terrazza affacciata proprio sulla piazza ha rappresentato per me una specie di conquista».

I suoi studi artistici hanno un peso.

«Ricordo che al liceo rimasi affascinata dal tempo e dall’immane lavoro necessario a rendere il Duomo l’immensa meraviglia che abbiamo davanti agli occhi. Dall’abbattimento delle due chiese che occupavano prima quell’area all’edificazione delle ultime guglie passarono quasi cinquecento anni, cogliendo però un risultato e una magnificenza che esprime in pieno il modo di essere di questa città».

Qual è stata la sua ultima scoperta?

«Negli ultimi cinque anni Milano è cambiata molto. Qualche giorno fa sono stata per la prima volta alla Fondazione Prada e appena passato l’ingresso, mi si è aperto davanti agli occhi un mondo incredibile; un museo all’altezza delle più grandi istituzioni analoghe che abbiamo in Europa».

Ed ora cosa farà?

«Se parli del mondo devi stare in mezzo alle persone. Per questo, pensando alle canzoni che sto scrivendo per il prossimo album, voglio scendere in strada, tra la gente. Il segreto di questo mestiere, infatti, sta forse in una frase che nel film su Bessie Smith uscito un paio di anni fa la grande Ma Rainey confessa alla sfortunata stella del blues interpretata da Queen Latifah: “Il salto non lo fai quando racconti a chi t’ascolta qualcosa di tuo, ma di suo”».

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro