Ricattava Justine Mattera fingendosi un pornodivo, giudice: "Creò ansia e paura"

Ecco le motivazioni della condanna per il giovane che sui social si spacciò con altre identità

Justine Mattera

Justine Mattera

Milano, 24 aprile 2018 - Justine Mattera "ha subito" un danno "in termini di ansia e paura, derivanti dalla minaccia della diffusione in rete di video dal contenuto molto intimo, che avrebbero danneggiato la sua immagine pubblica e privata". E' quanto scrive, oggi, il Tribunale di Milano nelle motivazioni della sentenza con cui, nei mesi scorsi, ha condannato a un anno e otto mesi per sostituzione di persona e tentata violenza privata un 27enne di Messina che si spacciò sui social network per il pornostar Franco Trentalance e per il ciclista veneto Filippo Pozzato per riuscire a chattare con la soubrette, che fu anche moglie del conduttore Paolo Limiti, e con la scrittrice di romanzi erotici Irene Cao.

Nella sentenza il giudice Maria Luisa Balzarotti aveva superato anche le richieste della Procura che per il giovane - all'epoca dei fatti (tra il 2011 e il 2012) aveva 22 anni - aveva chiesto un anno nel rito abbreviato. Il giudice nelle motivazioni spiega che "il sedicente Franco Trentalance ha cercato di costringere Mattera a prestazioni sessuali on line mediante il finto profilo Skype" dopo averla "agganciata su Facebook". In questo caso, secondo l'accusa, alla "sostituzione di persona" sarebbe seguita la minaccia da parte del giovane alla showgirl "di rendere pubblici i contenuti" delle conversazioni"«ritenute compromettenti". Avrebbe compiuto "atti idonei diretti in modo non equivoco a costringere" Mattera"«a proseguire le comunicazioni on line", ma lei ha poi deciso di denunciare.

Il giudice ha stabilito una provvisionale di diecimila euro per Mattera, rappresentata dal legale Anton Emilio Krogh, e di circa 18 mila euro complessivi per la scrittrice, per il ciclista e per il pornodivo, anche loro parti civili. Il giovane (l'appello per lui è fissato per il 26 aprile) ha commesso, conclude il giudice, reati "particolarmente" odiosi perché riguardano la "personalissima sfera della vita sessuale delle vittime".

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