Ragazza uccisa a coltellate in via Brioschi, il killer in aula

Comune e parenti parti civili nel processo. L'imputato potrebbe rendere dichiarazioni spontanee

Alessandro Garlaschi e Jessica

Alessandro Garlaschi e Jessica

Milano, 29 novembre 2018 - Il processo comincerà venerdì 30 novembre con rito abbreviato, quello che garantisce lo sconto automatico di un terzo sulla pena. Alessandro Garlaschi è il tranviere quarantenne in cella per aver ucciso lo scorso febbraio con 85 coltellate Jessica Valentina Faoro, la 19enne che ospitava nel suo appartamento di via Brioschi in cambio di lavori domestici.

Ieri il gip Alessandra Cecchelli ha rigettato la richiesta avanzata dal difensore dell’imputato, l’avvocato Francesca Santini, di processare Garlaschi con rito abbreviato condizionato all’esame del consulente di parte - uno psichiatra chiamato ad accertare le capacità di intendere e volere del killer - e dell’ufficiale di polizia scientifica che ha rilevato le tracce biologiche sulla scena del delitto. Deposizioni rirtenute entrambe supurflue. Il giudice ha invece ammesso il Comune di Milano tra le parti civili a fianco dei genitori e del fratello della ragazza, rinviando a domani la discussione delle parti. La sentenza è attesa per metà dicembre.

Venerdì 30 novembre quando comincerà il processo, non è escluso che Garlaschi renda dichiarazioni spontanee in aula. «Anticiperà il mio appuntamento del prossimo 7 febbraio - ha detto fuori dall’aula il papà di Jessica, Stefano Faoro, spiegando che per quel giorno, in coincidenza con l’anniversario della morte di sua figlia, ha intenzione di andarlo a trovare in carcere con una «crostatina con una candelina» per guardarlo in faccia - cosa che non vede l’ora di fare - anche se per lui è un «essere infame, insignificante». Faoro ha pure detto di avere fiducia nella magistratura, e di essere convinto che Jessica avrà giustizia e che il tranviere «avrà ciò che merita» a meno che «non si tiri fuori la falsità della sua incapacità di intendere e volere». L’uomo ha anche aggiunto che sarebbe stato meglio se il rito abbreviato, con lo sconto di un terzo della pena, «non fosse più utilizzabile per reati come l’ omicidio». «Penso sempre a Jessica - ha concluso - è più presente adesso di prima. Per motivi lunghi e difficili da spiegare non c’è mai stata così come il fratello», il quale domani dovrebbe entrare anche lui in aula.

Faoro e la moglie in realtà sono separati da anni, praticamente dalla nascita della sfortunata Jessica. I servizi sociali l’avevano da subito tolta a entrambi, troppi maltrattamenti, troppi litigi. La piccola aveva poi vissuto nomade tra varie comunità e spesso sulla strada. Scappava ogni volta, era libera e inquieta, cercava la serenità che non ha mai trovato. Una volta cresciuta, a 15 anni aveva partorito una bambina, data subito in adozione. «Voglio che abbia una vita migliore della mia», aveva detto, anche lei bambina, allo psicologo della Mangiagalli. Jessica aveva messo un annuncio, cercava un posto per dormire, in cambio avrebbe fatto le pulizie. Garlaschi risponde, lei accetta per avere un tetto, invece lui vuole altro. La notte del primo febbraio, sei giorni prima di morire, la ragazza chiede aiuto al 112 e chiede anche che le sia mandata un’ambulanza perché «mi viene da cadere per terra - dice- tremo, ho attacchi di panico per la paura. Mi fa proposte sessuali, mi mette le mani addosso».

Un minuto dopo, in una seconda telefonata anche questa agli atti dell’inchiesta, chiede di nuovo l’intervento del 112 perché lui le chiedeva di fare «giochi erotici, insiste, vuole fare tutte quelle brutte cose lì. Aiutatemi ho paura». E dopo essere scappata: «Ho lasciato lo zaino e il mio cane in casa sua, ma ho paura a rientrare in casa da sola: qualcuno può venire con me?».

 

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro