Arese, uccise la moglie. "Si sentiva fallito come marito e padre": concesse le attenuanti

Le motivazioni della sentenza di condanna a Jaime Moises Rodriguez Diaz: il pm aveva chiesto l'ergastolo, la Corte d'Assise ha deciso per una pena di 27 anni

La casa dove si è verificato il delitto

La casa dove si è verificato il delitto

Stava passando un momento psicologicamente difficile e questo stato di fragilità, secondo il tribunale, ha inciso sulla sua azione omicidiaria. Tanto da "garantirgli" una pena più mite, rispetto a quella richiesta dall'accusa. Sono state rese note le motivazioni della sentenza con cui il 15 novembre scorso la Corte d'Assise di Milano ha deciso di riconoscere le attenuanti generiche a Jaime Moises Rodriguez Diaz, manager 42enne di origine messicana che il 19 giugno dell'anno scorso ad Arese, uccise la moglie di 48 anni, Silvia Susana Villegas Guzman, soffocandola. In quell'occasione tentò anche di eliminare, strozzandolo con la cintura, il figlio di 18 anni, uno dei tre della coppia, intervenuto per cercare di soccorrere la madre. 

Sentenza e motivazioni

Con la concessione delle generiche Moises Rodriguez Diaz è stato condannato a 27 anni di reclusione in primo grado, a fronte della richiesta di ergastolo e sei mesi di isolamento diurno per omicidio volontario aggravato e tentato omicidio formulata dal pm Giovanni Tarzia, che nella sua requisitoria aveva ricordato come nelle indagini, condotte dai carabinieri di Rho, i tre figli della coppia avessero descritto il padre, difeso dall'avvocato Iacopo Viola, come "un uomo violento e pericoloso".

Così l'estensore della sentenza ha motivato la scelta di giudici togati e popolari. Il manager, si legge, aveva "una condizione emotiva del tutto alterata al momento della commissione dei fatti", era "un uomo che si sentiva fallito come genitore" e "marito". 

L'aggancio alla Cassazione 

Rodriguez, scrive la Corte (giudici togati Ilio Mannucci Pacini e Alessandro Santangelo), «era 'un uomo rotto, spaccato', come acutamente compreso» da uno dei tre figli "poco prima di essere aggredito, un uomo che si sentiva fallito come genitore per non essere riuscito a costruire 'una buona famiglia', come padre per gli errori commessi e come marito". Sulla base di una sentenza della Cassazione dell'82, la Corte chiarisce che "gli stati emotivi o passionali, pur non escludendo né diminuendo l'imputabilità" possono "essere considerati dal giudice ai fini della concessione delle circostanze attenuanti generiche, influendo essi sulla misura della responsabilità penale". 

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