Corrado Augias: "La mia Milano illuminista. Se questa città riparte si rimette in moto il Paese"

"Milano è il “punto luce” d’Italia. E’ dinamica, europea. Appena la visitai per la prima volta, pensai: questa sì che è una città moderna, ciò che Roma non sarà mai” di Massimiliano Chiavarone

Corrado Augias

Corrado Augias

Milano,  2 novembre 2014 - «Milano è il “punto luce” d’Italia». Lo racconta lo scrittore e giornalista Corrado Augias. “E’ dinamica, europea. Appena la visitai per la prima volta, pensai: questa sì che è una città moderna, ciò che Roma non sarà mai”.

Perché venne a Milano? Per vedere “Vita di Galileo” di Brecht, nell’allestimento del Piccolo Teatro firmato da Giorgio Strehler nel 1963. Era uno degli spettacoli più importanti dell’Italia del dopoguerra e dovevo vederlo per forza. Ci venni con Daniela Pasti, che poi sarebbe diventata mia moglie. Quella serata a teatro mi portò fortuna. Tre anni dopo proprio al Piccolo debuttò il mio lavoro teatrale “Direzione Memorie” con Gigi Proietti e per la regia di Antonio Calenda.

Cosa l’ha colpita di questa città? E’ una porta sul nuovo, sui cambiamenti. Ricordo che negli anni ’60 era stata appena inaugurata la linea 1 della metropolitana e in diversi punti della città svettavano i cartelli con l’indicazione MM. Una grafica nuova, che restava impressa. Poi scoprii che era stata realizzata dal designer olandese Bob Noorda e anche premiata per il valore della comunicazione visiva. Quelle prime visite milanesi coincisero anche con grandi cambiamenti che la mia vita stava attraversando. Dopo la laurea in Giurisprudenza avevo trovato lavoro alla Banca Commerciale Italiana. Poi nel 1960 vinsi un concorso come funzionario alla Rai. Ma nel frattempo continuavo a scrivere e a immaginare un diverso futuro professionale.

Come infatti avvenne con il giornalismo? Sì, lasciai la Rai ed entrai a far parte della redazione di “Repubblica”. Scalfari subito mi spedì a New York ad aprire la sede di corrispondenza. Era il 1976. Ma con Milano evidentemente avevo un conto aperto.

Cosa vuol dire? Due anni dopo tornai qui, questa volta in forza alla redazione di “Panorama” come responsabile delle pagine della cultura. Stare negli uffici di Segrate, però, non mi piaceva. E’ un posto che va bene per fare libri, ma non per giornali legati all’attualità. In questo caso la redazione deve trovarsi nel centro della vita cittadina. Lì, invece, mi sentivo tagliato fuori. Ma, comunque, ne approfittai per conoscere meglio Milano e devo dire che in una della sue strade ci ho lasciato un pezzetto di cuore.

La sua via preferita? Sì, via della Guastalla. Ci ho abitato durante il mio periodo milanese. Quella strada è inserita in un’area della città che ha conservato palazzi che avevano fatto di Milano una delle più importanti esponenti dell’architettura borghese. Uno stile eclettico che mescola il liberty a reminiscenze di stili più antichi. Purtroppo tanti pezzi importanti di quel periodo novecentesco si sono persi durante i bombardamenti e la ricostruzione della città è stata fatta in modo disordinato e disomogeneo. Poi vicino casa si trovava uno dei luoghi per eccellenza della cultura da cui ricavavo profonda gioia e grande serenità.

Qual è? La Biblioteca Sormani. Mi ci recavo spesso per fare le ricerche preparatorie per i miei libri. E proprio lì, seduto a uno dei suoi tavoli, ho concepito Giovanni Sperelli, il commissario, protagonista della trilogia che ha dato avvio alla mia carriera di giallista e che poi era il fratellastro immaginario del dannunziano Andrea, al centro de “Il Piacere”. Questa città mi è sempre stata cara per via di Piero Gobetti, una delle mie guide intellettuali, esponente ed erede di quell’illuminismo socialista che vede proprio Milano come la sua culla a partire da Cesare Beccaria. Anzi posso dire che Milano è l’unica città illuminista d’Italia.

E intanto ora torna in libreria con un nuovo romanzo? Sì, è “Il lato oscuro del cuore” (Einaudi, n.d.r.) in cui narro la storia di Clara che studia psicanalisi, ma si trova poi a dover applicare nella realtà quelle teorie e quei casi che ha esaminato solo sulla carta. Nel libro metto a fuoco, tra le altre cose, la cosiddetta sindrome di Stoccolma che è quella che ti spinge a solidarizzare con i tuoi aguzzini.

Un augurio alla citta? Milano rappresenta l’industria italiana. Se questa città riparte, si rimette in moto l’intero paese. La finanza è solo di stimolo alle iniziative dell’industria. Quello che conta è la produzione di beni, di cui Milano resta leader. di Massimiliano Chiavarone mchiavarone@yahoo.it

 

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