Il cappellano del Beccaria: "Problemi psichiatrici, alcol e doga. Non serve il carcere"

Don Burgio, cappellano e responsabile di Kayros: conosco bene i fuggitivi, ora gli amici li facciano ragionare "Mancano mediatori linguistici e culturali, gli assistenti cambiano spesso e gli educatori sono insufficienti"

Don Claudio Burgio, cappellano del carcere minorile Beccaria di Milano e responsabile della Comunità Kayros, conosce i sette ragazzi, due 18enni, un 19enne e quattro 17enni, che sono riusciti domenica 25 dicembre ad evadere dall’istituto minorile in zona Bisceglie. Sono cinque italiani, un marocchino ed un ecuadoriano. Tre sono già rientrati nell’istituto penale.

Cosa direbbe a chi è ancora in fuga?

"Li conosco tutti bene, ma non posso dire molto perché ci sono indagini in corso. Però credo che in alcuni casi la loro permanenza nell’istituto penale duri da troppo tempo e non mi stupisce che la situazione sia esplosa. Mi auguro che chi è fuori sia circondato da amici veri che sappia consigliare spingendoli a ragionare e a rientrare".

Dietro alla maxi-evasione c’è un piano studiato da tempo?

"Anche se noi potremmo pensare che la fuga sia esito di un piano ben congegnato, io ritengo che sia più probabilmente il frutto dell’impulsività del momento: nonostante la falla al sistema di sicurezza, dietro all’evasione c’è un gesto improvvisato. In generale questi adolescenti non accettano la carcerazione, la vivono come una vera punizione, una vendetta da parte dello Stato, altro che rieducazione come suggerisce il dettato costituzionale. Il carcere o diventa un modello educativo come è stato il Beccaria un tempo o rimane un dispositivo totalitario che regge fino a un certo punto".

Sarebbe più opportuno spedire i ragazzi nelle comunità?

"La comunità è preferibile. Un carcere minorile, come il Beccaria, rimane un concentrato di situazioni umane molto sofferenti e gravi. I giovani che finiscono all’istituto penale sono sempre più compromessi da un punto di vista psichiatrico, con un’instabilità emotiva che si lega anche all’abuso di sostanze stupefacenti e alcol. Il fatto è che essendo sconosciuti ai servizi sanitari nessuno ha mai diagnosticato i loro disturbi e quindi rimangono al Beccaria che non è una struttura idonea per aiutarli. C’è anche un numero estremamente elevato di minori stranieri non accompagnati che non avendo alcun riferimento di una famiglia facilmente si espongono a commettere reati che li fanno finire in un istituto penale. Non parlando la lingua italiana avvertono l’ambiente in maniera più ostile e da un punto di vista emotivo vanno ancora più in affanno".

Quindi?

"Sarebbero necessari dei mediatori linguistici e culturali, ma mancano. Gli assistenti sociali continuano a cambiare e gli educatori sono troppo pochi privando i minori di una guida stabile di cui hanno un gran bisogno. Un problema, quest’ultimo, avvertito anche dalle comunità educative che stanno chiudendo proprio per la carenza di personale. Risultato: i ragazzi vengono rispediti al Beccaria, con grande senso di frustazione".

Anche la vostra comunità a Vimodrone è in difficoltà?

"Per fortuna possiamo contare su 25 educatori per 50 ragazzi. Da due mesi c’è con noi pure Bilal (il 12enne marocchino già bloccato più volte a Milano per rapine e furti ndr ): dopo le prime settimane in cui usciva di notte, grazie anche all’accoglienza degli adulti e dai ragazzi stessi, si è legato alla nostra comunità e da più di un mese non esce più. Non si fanno miracoli ma già questo è una specie di miracolo…".

Tornando al Beccaria i sindacati di polizia penitenziaria puntano l’indice sulle carenze di organico.

"Come in altri istituti, si lavora con un numero incompleto di agenti, criticità che si acuisce con le festività. Certo anche il continuo succedersi di nuovi direttori determina una instabilità di “governo“ che diventa una grave difficoltà quando si ha a che fare con la gestione dei minori. Però i problemi sono anche fuori dal carcere, non solo dentro. È il sistema che in un certo senso è al collasso".

 

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