Indagine sul piano pandemico Gdf negli uffici di Regione e Ats

Su delega della procura di Bergamo, le Fiamme Gialle vogliono accertare se la. Lombardia fosse attrezzata

Verificare se l’Italia e la Lombardia, la regione più colpita dalla prima ondata di Coronavirus, non solo fossero dotate di un piano pandemico aggiornato, ma anche se quello esistente, datato 2017 e che si ipotizza fosse un copia-incolla del precedente del 2006, sia stato attuato mettendo in campo le misure previste e sia servito per contrastare il rischio pandemia lanciato il 5 gennaio dell’anno scorso dall’Oms.

Per questo ieri la Guardia di Finanza di Bergamo ha effettuato, su delega del procuratore aggiunto Maria Cristina Rota, acquisizioni di documenti cartacei e informatici, nelle sedi dell’assessorato al Welfare lombardo, delle Ats di Bergamo e Milano e della Asst di Bergamo Est, oltre che in uffici del Ministero della Salute e dell’Istituto Superiore di Sanità. Le indagini da qualche mese si stanno concentrando sul piano pandemico nazionale, ritenuto non aggiornato, e a cascata su quello regionale per capire se, proprio dal 5 gennaio 2020, erano state adottate le misure, quanto meno quelle richieste dall’Oms, dai responsabili della prevenzione e da coloro che avevano il compito di valutare i rischi.

Per esempio, si vuol capire se erano stati attivati i canali per gli approvvigionamenti di dispositivi di protezione, se c’erano scorte di farmaci anti virali e, trapela da ambienti giudiziari, se e quando siano state date le indicazioni ad esempio per i triage agli ingressi dei pronto soccorso o se sia stata effettuata la formazione del "personale medico-sanitario venuto a contatto - si legge nell’ordine di esibizione - con i positivi o presunti tali".

Insomma, l’intenzione è appurare se siano state applicate le regole pur risalenti, come si crede, al 2006 e se siano servite. Tanto che gli inquirenti hanno anche esteso a questo ultimo punto la maxi consulenza affidata al virologo Andrea Crisanti.

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