Un colosso della logistica finito in amministrazione giudiziaria per presunte infiltrazioni della ‘ndrangheta, i proprietari di un noto ristorante implicati in un’inchiesta sul narcotraffico internazionale, 102 beni sequestrati alle mafie, boss che dagli arresti domiciliari continuano ad occuparsi dei loro traffici. Uno spaccato allarmante sul nostro territorio che costringe a spingere a un’attenta riflessione. Sulla presenza delle mafie nel sud-est milanese, in un incontro promosso dalle associazioni "Libera" e "Vedo, Sento Parlo in memoria di Giuseppe Tallarita" ne hanno parlato, presso l’auditorium della Biblioteca Comunale, il procuratore aggiunto a capo della Direzione distrettuale antimafia Alessandra Dolci (nella foto seconda da sinistra) ed Eleonora Montani, docente e ricercatrice presso l’Università Bocconi. A rappresentare le associazioni promotrici Rita Infantino e Rosi Tallarita.
Un parterre tutto al femminile per attenzionare un fenomeno sempre più preoccupante. Le mafie, secondo Dolci, si sono evolute e, soprattutto al Nord, hanno abbandonato l’aspetto più eversivo per mostrare una marcata vocazione imprenditoriale, sfruttando i momenti di crisi economica grazie anche alla tolleranza della società civile che sottostima la situazione. "Fino agli anni 2000 - ha spiegato - la ‘ndrangheta sparava e intimidiva. Ora i nuovi mafiosi si presentano come persone che aiutano famiglie e imprenditori a "risolvere i problemi", con il risultato che da molti cittadini sono addirittura considerati utili fino a quando non vengono chiamati a pagarne il prezzo". Di particolare rilevanza, secondo Montani, il fenomeno dell’usura, utilizzata non tanto per estorcere gli interessi quanto per infiltrarsi nel tessuto imprenditoriale. "Gli imprenditori possono uscirne solo denunciando - ha spiegato - o il cappio attorno al loro collo si farà sempre più stretto".
Valeria Giacomello
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