Il femore rotto e guarito segno di civiltà

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Agostino

Picicco

Anni fa, uno studente chiese all’antropologa Margaret Mead quale riteneva fosse il primo segno di civiltà in una cultura. Lo studente si aspettava che Mead parlasse di fuoco, ruote, pentole di terracotta, macine di pietra, asce particolari. Ma la studiosa disse che il primo segno di civiltà in una cultura antica era un femore rotto e poi guarito. Spiegò che nel regno animale, se ci si rompe una zampa, la morte è assicurata perché non si può scappare di fronte al pericolo o recarsi al fiume per bere o procacciarsi cibo. Si diventa cibo per altri animali. Un femore rotto che è guarito è la prova che qualcuno si è preso il tempo di stare con chi è caduto, ne ha bendato la ferita, lo ha portato in un luogo sicuro, gli ha portato cibo e lo ha aiutato a riprendersi. Pertanto, concluse Mead, aiutare qualcun altro nelle difficoltà è il segno preciso dell’inizio della civiltà. Quale è la lezione per noi? Che raggiungiamo il culmine della civiltà quando ci prendiamo cura degli altri, in particolare dei deboli e dei fragili. Oggi essere civili nella città vuol dire prendersi cura di tutti. Ci sono piccole attenzioni che intersecano il piano della professionalità. Se un tram cambia percorso e il conducente non avvisa che c’è una deviazione, espone le persone anziane (e non solo) a un tragitto più lungo che avrebbero evitato e a crisi di panico. Se si va ad un evento della frenetica Milano e si arriva un’ora dopo l’inizio e magari si fa squillare il cellulare, si crea disagio agli organizzatori, ai relatori e alle persone puntuali. Anche questa è cura delle persone e civiltà. Ecco che dalla poetica lezione di Mead si arriva alla banalità della nostra concretezza quotidiana. Quella lezione è un monito per tutti, non solo per chi regge le sorti dell’umana convivenza ma per ogni cittadino.

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