Ho udito il canto delle sirene per trent’anni

Claudio

Negri

Ho udito il canto delle sirene. Per almeno trent’anni. Sirene di terra, senza coda. Nel mio borgo ce n’erano almeno quattro. Cantavano alle ore canoniche del lavoro – mattutino, angelus e vespro – con tenui ma riconoscibili differenze di frequenza e ciascuna in un minuto tutto suo. Per non sovrapporsi. Qualche volta però capitava. E pareva un concerto di ardite dissonanze, toccate e fughe in “uuuh” maggiore. Crescendo e diminuendo. Non avendo ricordo dell’ultima guerra in questa tormentata landa non ho mai associato le sirene a un allarme aereo: era un canto sempre clamoroso, ma pacifico, dalla chiamata al lavoro alla pausa pranzo e all’andate in pace serale. Non tutti, per la verità, andavano sempre in pace, ma non era colpa delle sirene. Al mattino l’ululato fendeva le nebbie come un faro sonoro, era l’ora disambigua della scuola e della quotidiana mattanza dei maiali, stipati e disperati sui camion – qualcosa di terribile intuendo – al portone del grande salumificio. A mezzogiorno la sirena era già la sobria fragranza della michetta, delle paste al sugo e dal cinguettìo radiofonico del Gazzettino Padano. Alla sera le cuspidi tonali richiamavano le nebbie e facevano le veci della nota squilla di Dante: "Che paia il giorno pianger che si more". A me, adolescente pop, pareva invece It’s five o’ clock (le cinque in punto) degli Aphrodite’s Child, registrata per l’occasione tra il mattatoio suino e gli acidi di una gloriosa fabbrica di accumulatori. Aria di casa, per quanto pesante. Nel mio borgo passava e passa tuttora la ferrovia e il fischio dei treni faceva da contrappunto in fuga alle sirene. Que c’est triste un train qui siffle dans le soir. Ma a me garzoncello piaceva: immaginavo uomini chiusi nelle ciminiere (credevo che il suono nascesse da lì) a pigiare un grande tasto rosso, il La al segnale. Il treno passava, ricambiava il saluto, ma non si fermava. Le ciminiere accennavano a seguirlo, chinando le cime come pioppi cipressini nel favonio, ma tutto era già sparito all’orizzonte secco dei binari.

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