Al lavoro con il green pass, in Lombardia c'è chi anticipa l'obbligo

Caos al lavoro, fra aziende che abbassano la guardia sul Covid e altre che chiedono a tutti la carta

Le farmacie sono prese d’assalto per stampare il certificato

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Milano, 31 luglio 2021 -  "Martedì prossimo, in occasione della riunione, le persone convocate dovranno presentarsi in sala munite di green pass". Una comunicazione, ricevuta da alcuni dipendenti di un gruppo assicurativo, che non tiene conto di chi, anche per motivi di salute, non può vaccinarsi. Dovrà fare il tampone? A rigor di logica sì, perché il risultato negativo del test molecolare o antigenico rapido (eseguito nelle 48 ore antecedenti) è uno dei requisiti per il “lasciapassare“. Anche se la comunicazione aziendale non lo specifica. È solo una delle "fughe in avanti" di aziende che, in assenza di una norma sull’obbligo di green pass sui luoghi di lavoro, finora solo a livello di proposta, stanno prendendo provvedimenti particolarmente restrittivi con l’obiettivo di scongiurare nuovi contagi.

Nella Città metropolitana finora sono una decina le segnalazioni arrivate ai sindacati tramite i delegati, dalle quali traspare il disorientamento dei dipendenti. "È solo la punta dell’iceberg – spiega Roberta Vaia, segretaria della Cisl Milano Metropoli – perché ci vengono segnalati i casi successi in aziende più strutturate, dove il sindacato è presente. È più difficile monitorare la situazione in realtà di dimensioni più modeste, come piccoli alberghi o ristoranti". Le segnalazioni arrivate alla Cisl riguardano finora settori che vanno dal bancario-assicurativo alle industrie alimentari e al commercio. Se alcune aziende bruciano le tappe, altre sono in stallo, in attesa delle mosse del Governo e soprattutto dei dati sull’andamento della pandemia, con l’aumento dei contagi che apre nuove incognite per settembre. Altre ancora, invece, abbassano la guardia smettendo di applicare quei protocolli anti-Covid fondamentali per la lotta al virus. "La nostra premessa è che bisogna vaccinarsi e il vaccino si è rivelato uno strumento utile – prosegue Vaia – ma le aziende devono evitare iniziative unilaterali e porre vincoli all’accesso. Il punto fermo è che ogni provvedimento di questo tipo deve essere regolato da una norma nazionale e da accordi, le aziende non possono fare di testa loro e far calare le decisioni dall’alto".

Sulla stessa linea anche la Fiom-Cgil di Milano. "L‘unico obbligo che hanno aziende e lavoratori – ricorda il sindacato dei metalmeccanici – è che si continui ad applicare le regole del protocollo. Le aziende devono evitare di mettere in campo azioni unilaterali divisive e controproducenti". Fra i casi quello di Sterilgarda, azienda lattiero casearia del Mantovano: da settembre i dipendenti privi del green pass rischieranno una sospensione senza stipendio. Il Tocq Hotel di Milano vanta, inoltre, un "team di collaboratori tutti vaccinati" e da settembre non accetterà più clienti senza la "carta verde". In assenza di una norma, gli effetti sul mondo del lavoro si fanno sentire anche nella fase della selezione del personale: le aziende preferiscono assumere chi ha già completato il ciclo vaccinale. Oltre ai "no vax", anche chi non può fare la vaccinazione per motivi di salute si trova in un limbo. Nei casi più restrittivi, infatti, potrebbe trovarsi costretto a tamponi a ciclo continuo per poter lavorare a contatto con i colleghi o con il pubblico. Diritti diversi - lavoro, salute e privacy - che si scontrano. "L’obbligo di green pass al lavoro non è incostituzionale – spiega il giuslavorista Maurizio Del Conte – ma deve essere normato dalla legge".