Morto Gillo Dorfles, il ricordo di Philippe Daverio: "Lui, un vero dandy internazionale"

Il collega e amico: "Milano istituisca borse di studio nell’ambito dell’architettura e della storia dell’arte per laureati e specializzandi"

Il critico d'arte Philippe Daverio

Il critico d'arte Philippe Daverio

Milano, 3 marzo 2018 - «Gillo Dorfles? Sperimentatore, esploratore inquieto, uno che era abituato a non partire dai principi, sa che era un medico, laureato in medicina e psichiatria con un forte spirito di indagine che gli veniva dall’ambito in cui si era laureato. Uno che nella cultura andava a cercare i segni, non partiva dai principi, privilegiava la concreta indagine della realtà».

Philippe Daverio, critico d’arte, docente, scrittore, ha conosciuto e frequentato a fondo Dorfles morto a 107 anni nella sua casa milanese. «Insieme abbiamo partecipato a convegni e conferenze, ero contento di vederlo e di parlargli ogni volta, vista anche la sua età. Ultimamente era diventato un pochino sordo ma bastava parlargli nelle orecchie...e che intelligenza, sveglia come poche. E, attenzione, anche fisicamente si difendeva bene, qualche annetto fa l’ho visto rincorrere il tram pur di non perderlo».

Ha visitato una delle sue ultime mostre in Triennale?

«Certo, era divertentissima, come al solito. Lui era alla ricerca di un’eccentricità assoluta, la sua data di nascita corrispondeva, una sorta di dadaista. Direi che era contemporaneamente rigoroso e dadaista».

Una personalità intrigante e complessa...

«La sua origine triestina, la capacità naturale di non avere un unico punto di vista. Chi nasceva in quel mondo lì aveva per sua natura tre riferimenti religiosi diversi, lingue diverse, era atipico rispetto alla banalità dell’intellettuale così come lo intendiamo oggi che esce solo da un liceo preciso ed oltre non è mai andato».

E a Milano una figura come quella di Dorfles ha trovato terreno fertile, adorava questa città...

«Sì. Ma andava oltre i confini, era un europeo».

Anticipatore... Il Kitsch. Antologia del cattivo gusto. Con questo titolo, nel 1968 Gillo Dorfles licenziava per Mazzotta uno dei suoi saggi più riconosciuti, destinato a diventare un vero e proprio testo di riferimento.

«Tutti i suoi ragionamenti sul concetto di kitsch portavano qui il dibattito che c’era già in America. Insomma non era uno provinciale, dedito a coltivare orticelli».

Cosa deve fare Milano per ricordarlo e raccogliere la sua densa eredità?

«La cosa più seria che potrebbe fare la città di Milano e, apparentemente la più semplice, sarebbe istituire una serie di borse di studio nell’ambito dell’architettura e della storia dell’arte per laureati e specializzandi».

Il messaggio ai giovani, l’eredità di Dorfles?

«Non siate provinciali, non fatevi rinchiudere nei recinti mentali. Lui era il non provinciale per eccellenza in un momento in cui essere provinciali sembra una qualità.

La sua dirittura morale e di tenacia lascia un bell’insegnamento. Ossia che la tenacia intellettuale alla fine premia anche la tenacia fisica! La tenacia oggi sembra fuori moda ma serve moltissimo, è un valore etico che va esaltato».

Gillo Dorfles era elegantissimo, almeno quanto lei Daverio...vi scambiavate consigli?

«No (ride di gusto) lui era elegante, un vero dandy, intellettualmente dandy. L’essenza, uno dei meccanismi del dandismo è la curiosità».

Lui curioso lo era tantissimo...

«Per Gillo la molla era la curiosità e la cifra l’eccentricità».

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