Addio a Giacomo Biffi, arcivescovo milanese trapiantato a Bologna. Scola: "Grande prete ambrosiano"

Biffi era nato a Milano ed era cresciuto in via Fusi. Nel 1942 entrò in seminario a Venegono. Ordinato prete nel 1950 dal cardinale Schuster, fu parroco a Legnano e a Sant'Andrea a Milano

Giacomo Biffi

Giacomo Biffi

Milano, 11 luglio 2015 - Giacomo Biffi, vescovo di Bologna e teologo pungente, è mortoLa sua storia è quella di un passaggio: dalla scuola di Sant'Ambrogio alla cattedra di San Petronio. Biffi prese le pure radici milanesi e per obbedienza a Wojtyla le trapiantò in quella Bologna forse «sazia e disperata» ma che finì per sentire come sua. Ma lui direbbe con orgoglio che la sua è anche la vicenda di un «italiano cardinale». Premettendo la parola «italiano», perchè «l'identità nazionale ha preceduto di molti anni l'ingresso nel Sacro Collegio», spiega nelle imponenti memorie.

La porpora gli fu conferita da Giovanni Paolo II il 25 maggio 1985, poco meno di un anno dopo l'ingresso nell'arcidiocesi emiliana. Era nato a Milano 57 anni prima, il 13 giugno 1928 e cresciuto in via Paolo Fusi, in una famiglia popolare. Nel 1942, durante la guerra, entrò nel seminario di Venegono. Fu ordinato prete a ridosso del Natale 1950, dal cardinal Ildefonso Schuster. Questi, con l'arcivescovo Giovanni Colombo - che consacrò Biffi ausiliare nella diocesi più grande del mondo nel 1976 -furono i punti di riferimento. Prima era stato parroco a Legnano, 15 anni; quindi a Sant'Andrea in Milano.

Per convincerlo ad 'emigrarè, lui stesso racconta che il pontefice polacco dovette invitarlo a cena nel palazzo apostolico. Fu così che un vescovo milanese approdò sotto le Due Torri, il 2 giugno 1984 e iniziò una seconda vita che durò quasi 20 anni. Diceva di essere del «partito della Chiesa» e a Bologna trovò le amministrazioni di sinistra. Di posizioni non certo progressiste, ricorda di aver sempre mantenuto rapporti cordiali, pur non lesinando critiche salaci. Ma ne ebbe anche per Berlusconi nel '94: «I milanesi non ci sanno fare con la politica, brutto segno se smettono di fare gli imprenditori», e per Prodi, nel '98: «dopo l'Ulivo mi porta via anche l'asinello, di questo passo non mi resta più niente». Quindi definì «un miracolo» l'elezione a sindaco di Guazzaloca nel '99. Tra le personalità con cui si confrontò a Bologna, ci fu Giuseppe Dossetti, monaco e sacerdote. Un rapporto complesso: al padre costituente, al netto di visioni diverse su Chiesa e Vaticano II, il cardinale attribuiva un peccato originale, di essere «teologicamente autodidatta». Ne presiedette i funerali nel '96 e lo descrisse come «autentico uomo di Dio». Ma anche dopo la morte, non mancò di tornare sulle divergenze. Punto chiave del mandato, il congresso eucaristico del 1997il concerto con Bob Dylan sul palco del Caab, insieme a Giovanni Paolo II, raccolse 400 mila persone. Tra le ultime funzioni presiedute, i funerali di Marco Biagi. Poi, congedatosi a inizio 2003, fece in tempo a partecipare al conclave che elesse Ratzinger nel 2005. Per i restanti anni, vissuti a villa San Giacomo, alla Ponticella, ha scelto il silenzio. Un mese fa, informato della sua malattia, gli inviò un augurio papa Francesco.

«Nel suo stile di vita, di esercizio del ministero sacerdotale ed episcopale, e nella sua riflessione dottrinale e culturale, il cardinal Biffi ha incarnato fino in fondo la grande tradizione del prete ambrosiano, capace di approfondire le ragioni della fede e della loro limpida comunicazione all'uomo contemporaneo». Con queste parole l'arcivescovo di Milano, Angelo Scola, ha fatto giungere all'arcivescovo di Bologna le condoglianze per la morte del cardinale Giacomo Biffi, già arcivescovo di Bologna e vescovo ausiliare della diocesi di Milano, città in cui è nato.

«È sempre stata sorprendente la sua capacità di cogliere, con espressioni efficaci, sintetiche ed assai argute, i momenti di cambiamento, senza mai cedere alla tentazione di ricercare facile consenso e plauso - continua Scola -. Dovremo continuare ad attingere alla sua testimonianza e ai suoi scritti, per affrontare questo difficile tempo di passaggio, di cui abbiamo bisogno di prendere più decisa consapevolezza».

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