Genovese milionario? Sì, ma non troppo

Le indagini della procura si sono focalizzate anche sugli interessi economici dell’ex re delle start up dal portafoglio non così florido

Alberto Genovese, "mago" delle startup

Alberto Genovese, "mago" delle startup

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MIlano - Svizzera e Lussemburgo, Cipro e Isole Cayman, un attico in centro a Milano, una villa a Ibiza, una affittata nella greca Mykonos e un’altra a Formentera. Alberto Genovese, il 43enne mago della startup, ora in carcere con l’accusa di aver drogato e stuprato per venti ore, durante una delle sue feste, una giovane modella, ha interessi economici finanziari in tutto il mondo. Oltre all’inchiesta principale sulle violenze, che da novembre lo tiene in cella a San Vittore, i magistrati hanno avviato su di lui anche un secondo filone di indagini che riguarda per l’appunto gli affari, i suoi redditi dichiarati negli ultimi anni, secondo gli investigatori sembrano più quelli di un dipendente ben retribuito che non quelli di un magnate dal portafoglio importante.

Genovese dunque è indagato anche per intestazione fittizia di beni proprio in relazione ad alcune società a lui riferibili e secondo la Procura “schermate” all’estero. Dalle indagini però, o meglio, da una prima relazione più approfondita degli investigatori della Guardia di Finanza di Milano, Genovese sarebbe sì danaroso, ma molto meno di quello che si immagina. Dalla vendita della startup di successo, la punta di diamante della sua attività, non avrebbe in realtà intascato i 100 milioni, quello era il valore della società, tra divisioni con i soci e altre operazioni ne avrebbe messi in tasca puliti più o meno dieci. Se poi si pensa che buona parte di quel denaro lo ha reinvestito in altre startup dall’incerto andamento, il quadro, secondo la procura, è meno florido di quello che ci sia aspettava. Milionario sì, ma non con una disponibilità così illimitata come lasciava pensare il suo tenore di vita degli ultimi anni: feste da 150mila euro a colpo e droga da 500 euro al grammo. L’iscrizione al registro degli indagati anche per i reati economici è finalizzata agli accertamenti su presunti profili di frode fiscale e riciclaggio.

Il pm Paolo Filippini  che coordina questo filone finanziario della inchiesta, tirerà le somme dopo aver avviato le rogatorie all’estero verso gli Stati interessati dai conti di Genovese e soci. Questi ultimi, fra l’altro, hanno già provveduto a liquidare società e sfilarsi dagli affari che avevano in comune con l’ex Bocconiano, affari portati a termine quando il vento tirava a favore di Genovese e lui era il golden boy della finanza. La maggior parte della trentina di conti correnti sui quali Genovese ha operato negli ultimi anni, stando agli investigatori, sarebbe comunque in Italia. Secondo le indagini, “Prima“ appartiene al gruppo svizzero Alej Holding ag, con sede a Finstersee, Cantone Zugo. Le sue quote sono distribuite tra 15 soci, ma la maggioranza del 58,31% è in capo ad Alberto Genovese technologies spa.

Quest’ultima società, nata solo due anni fa a Milano, vede Genovese presidente del cda e come soci figurano Agh sa, che ha sede in Lussemburgo, la stessa Alej Holding Ag e Tda industries Gmbh, di diritto svizzero ma controllata da Zanjero Limited con sede a Nicosia, Cipro. Questo però, è solo il nucleo forte degli affari di Genovese, che poi mantiene direttamente o indirettamente partecipazioni in società impegnate in attività diverse, tutte controllate da ex soci, e ormai ex amici, tutte con sede legale a Milano. I guai maggiori insomma, secondo la procura, Genovese li ha combinati nella sfera privata, a partire dalle violenze sessuali. Ora la sua difesa punta a farlo uscire dalla cella portandolo ai domiciliari, perché ritiene che le condizioni del carcere siano incompatibili con il suo stato di salute. Genovese avrebbe un assoluto bisogno di disintossicarsi.  

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