Paura in zona Baggio: "A terra!". Poi la fucilata al ginocchio e la fuga

Ferito il pregiudicato Massimiliano Canito. La pista della faida tra bande

Gli investigatori sul luogo dell’agguato

Gli investigatori sul luogo dell’agguato

Milano, 16 gennaio 2019 -  «A terra!». Sono le 21.40 di lunedì. Bar Valor di via Quinto Romano 56, a Baggio. All’interno del locale ci sono il proprietario, una figlia che lo aiuta a servire i clienti e un’altra figlia seduta al tavolo con un’amica. E poi ci sono due uomini: uno è Massimiliano Canito, 30 anni, pluripregiudicato per spaccio, rapina e altri reati e appartenente a una delle famiglie più influenti della zona, originaria della provincia di Foggia e da anni dominante alle Torri di via Quarti; l’altro è un conoscente col quale si è dato appuntamento per rivedersi dopo parecchio tempo (è la sua versione).

A un certo punto, in strada si ferma un’utilitaria grigia: scende un uomo col volto coperto da una sciarpa (si intravedono solo gli occhi), che fa irruzione con un fucile a canne mozze. Con l’arma tra le mani, il malvivente fa segno alle donne e al proprietario di andare sul retro: non è entrato per fare una rapina, punta con decisione Canito. «A terra!», l’unica frase che dice, senza particolari inflessioni che possano rendere riconoscibile la sua provenienza. Canito si stende sul pavimento. Forse l’uomo armato vuole mettergli paura facendogli credere che sta per ucciderlo, forse lo fa sdraiare per essere sicuro di colpirlo in un punto non vitale. Fatto sta che dopo qualche secondo il fucile a canne esplode una pallottola che centra il ginocchio destro di Canito. L’uomo si volta di scatto ed esce, risale in auto dal lato del conducente (non è chiaro se a bordo ci fossero altre persone a fare da «palo») e sparisce nel nulla.

Pochi minuti dopo, arrivano sul posto i primi equipaggi del Radiomobile dei carabinieri, raggiunti dai colleghi della Scientifica e del Nucleo operativo della Compagnia Magenta, coordinati dal capitano Fabio Manzo e dal tenente Alfonso Sammaria. Canito ha perso molto sangue, viene caricato in ambulanza e trasportato d’urgenza al Niguarda: sottoposto nella notte a un delicato intervento chirurgico, il 30enne è stato dichiarato fuori pericolo. I militari mantengono il più stretto riserbo sullo sviluppo delle indagini, anche se una cosa è certa: escluso sin dai primi minuti il movente passionale o legato a un litigio per futili motivi, è bastato il cognome della vittima e il suo curriculum criminale per indirizzare l’inchiesta sulla pista che porta a un possibile regolamento di conti tra famiglie rivali o comunque a un pesante avvertimento per la gestione dello spaccio di droga o di altri affari criminali.

Del resto, il fratello maggiore di Massimiliano, il 43enne Antonio detto «Caniggia», fu arrestato nel 2013 proprio perché sospettato di aver preso parte a una faida tra bande rivali nelle zone di via Fleming a San Siro e via Quarti a Baggio (complesso popolare dove i Canito hanno sempre dettato legge, stando a quanto risulta agli investigatori): Canito, ricostruirono all’epoca i pm, stava dalla parte di Vito Magrini nella guerra contro la famiglia calabrese dei Panaiia per un debito da 1,6 milioni di euro per una partita di droga; una guerra fatta di rapimenti (quello di Antonio Panaiia), gambizzazioni (quella di Salvatore Magrini ad opera di Iginio Panaiia) e pestaggi (quello di Iginio Panaiia, picchiato con una calibro 38 in via Colonna da Vito Magrini, Canito e altri due luogotenenti). Difficile affermare al momento che il raid di lunedì sera sia legato a quella storia, una rivalità tra blocchi contrapposti riemersa come un fiume carsico dopo anni di silenzio. Così come non si può escludere il coinvolgimento di criminali stranieri, come ad esempio gli albanesi che in via Quarti hanno conquistato pian piano terreno.

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