Il processo, batterie rubate agli scooter elettrici: più di 600 i furti, 15 gli imputati

Le preziose “celle“ al litio valgono mille euro ma i ricettatori le pagavano 100 e poi le rivendevano

La società aveva denunciato la serie inarrestabile di furti di cui era stata vittima

La società aveva denunciato la serie inarrestabile di furti di cui era stata vittima

Milano, 5 febbraio 2023 -  Per la banda delle “batterie elettriche“ è arrivata l’ora di fare i conti. Sono in quindici, davanti al giudice, imputati di avere - tra il 2019 e il 2022 - messo a segno qualcosa come 650 furti di batterie “EP“ al litio sottratte ai motorini in sharing della francese Cityscoot srl, una delle aziende vincitrici a suo tempo del bando comunale per il noleggio di scooter elettrici.

Colpi facili facili, a sentire al telefono (intercettati) gli stessi protagonisti. E batterie del valore di mille euro ciascuna, che una volta rubate venivano cedute ai ricettatori per un decimo del loro prezzo e che poi erano rimesse sul mercato in mille modi diversi. Martedì, davanti al giudice Anna Magelli, il pm Anrtonio Cristillo chiederà la condanna per gli imputati che hanno scelto il rito abbreviato e il rinvio a giudizio per gli altri.

L’inchiesta scattò nel febbraio di due anni fa, quando il rappresentante legale di Cityscoot srl denunciò alla Procura l’inarrestabile serie di furti subiti. Agli investigatori il manager spiegò che i loro motorini (quasi 2 mila in città) sono alimentati da due batterie, una delle quali (la “EP“ del valore di mille euro) progettata e prodotta in esclusiva per Cityscoot. Però i “pacchi batteria“, ognuno con 10 celle di ioni al litio, possono anche essere sostituiti mantenendo intatti l’involucro esterno e le componenti elettroniche. E le singole “celle“ possono essere utilizzate per riparare o alimentare altri prodotti come monopattini, bici elettriche e sigarette elettroniche.

Ce n’è per tutti , insomma. Anche per qualcuno cui era venuto in mente di approfittare di quel ben di dio. Per l’accusa il copyright dell’idea sarebbe di Roberto Sposito, un 34enne milanese che il giudice definisce "capo" della banda ma anche ottimo organizzatore, se pure dagli arresti domiciliari era riuscito a mantenere attivo il giro d’affari, potendo contare su due collaboratori affidabili. Manuel Sanfilippo e Emanuele Maneschi (anche loro poi arrestati) avrebbero infatti continuato a reclutare i "ragazzi" che provvedevano ai furti (ci volevano pochi secondi a smontare le batterie, dicono), mentre secondo la Procura era Sposito stesso a tenere i contatti con i ricettatori.

Un business quasi milionario, anche se il capobanda al telefono minimizzava i propri meriti: "Non sono l’unico che sa questa cosa qua... C’è qualcuno più intelligente di me che l’ha scoperto prima, perché io l’ho scoperto solo due anni fa...".

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