Fontana e i conti svizzeri: sapeva, non li gestiva

La difesa punta a dimostrare che il governatore non ha mai toccato il denaro. Per la procura almeno 2,5 milioni derivano da una sua evasione fiscale

Attilio Fontana indagato per il rientro di capitali

Attilio Fontana indagato per il rientro di capitali

Milano, 3 aprile - «Svizzera , riciclaggio", bastano queste due parole, secondo l’avvocato Jacopo Pensa, per mettere "alla gogna qualunque uomo onesto", in questo caso si riferisce al suo assistito, il governatore Attilio Fontana, travolto dall’ennesimo scaldalo sul tesoretto nascosto in Svizzera, vicenda spinosa, (costola dell’inchiesta sui camici) che ruota tutta intorno a due firme presunte false. Le firme che hanno fatto scoppiare il caso sono quelle dell’anziana madre di Fontana che, secondo la difesa, avrebbe aperto quel conto all’insaputa del figlio.

«O meglio – corregge il tiro l’avvocato Pensa –, Fontana sapeva di un conto, ma non ha mai gestito quel denaro". Non la pensa così la Procura secondo la quale il governatore della Lombardia avrebbe saputo bene dei soldi in Svizzera già dal ‘97, quando la madre aprì il primo conto su cui confluirono quasi 3 milioni. I risultati della consulenza affidata ai periti dal pm Paolo Filippini dimostrerebbero che la donna firmò, probabilmente non in Svizzera, per l’avvio del rapporto bancario. Successivamente il documento fu scannerizzato e il governatore, verosimilmente nella banca elvetica, firmò la delega ad operare sul conto, che poi venne chiuso quando i soldi furono spostati su un altro conto aperto dal governatore,a doppia firma, nel 2005 con un fondo di 2,5 milioni. Fontana, invece, ha sempre ribadito che seppe dei cinque milioni solo nel 2015 per via dell’eredità lasciata dalla madre. La procura ha disposto non solo una consulenza sulla firma della madre sul conto del 2005, ritenuta falsa, conto sul quale il presidente lombardo non aveva delega a fare operazioni, ma anche un accertamento affidato ad un esperto sulle firme messe nei moduli relativi al conto avviato nel ‘97.

L’ipotesi della Procura è che il governatore fosse a conoscenza di quei depositi in Svizzera almeno dal ‘97. Nel 2015 aderito alla “voluntary disclosure“ che, sempre secondo l’ipotesi d’accusa, sarebbe stata fatta in modo irregolare dichiarando che erano tutti soldi frutto del lascito della madre. I pm, invece, ipotizzano che almeno 2,5 milioni derivino da una presunta evasione fiscale prescritta. Da qui l’accusa di autoriciclaggio, assieme a quella di falso nella voluntary, nel nuovo filone di indagini.

Tra l’altro, dalle analisi reddituali già agli atti, sulla base di documenti dell’Agenzia delle Entrate, gli inquirenti ritengono che quei depositi di denaro in Svizzera siano più compatibili con gli alti redditi dichiarati da Fontana, di professione avvocato, oltre che ex presidente del Consiglio regionale ed ex sindaco di Varese, che con quelli della madre dentista, che dal ‘98 percepiva una pensione di circa 25mila euro all’anno.  

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