Covid, focolaio in una palestra a Milano: tampone per un centinaio di clienti

Una decina di positivi tra i frequentatori di un centro in zona Lambrate, riaperto da meno di 3 settimane. Scattano le chiamate a chi li ha incrociati per sottoporsi ai test

Tampone Covid

Tampone Covid

Milano -  È stato scoperto un focolaio di Covid in una palestra di Milano, a meno di tre settimane dalla riapertura dei centri sportivi e alla vigilia del passaggio della Lombardia in zona bianca, che lunedì farà scattare l’abolizione del coprifuoco. 

A quanto Il Giorno apprende, un centinaio di clienti di una palestra che si trova in zona Città Studi-Lambrate sono stati invitati dall’Ats ad andare a sottoporsi a un tampone molecolare o antigenico dopo la scoperta di una decina di contagiati dal coronavirus tra i frequentatori delle attività del centro sportivo, che erano ripartite dopo il 24 maggio, quando è stato consentito alle palestre di riaprire in zona gialla, pur con le restrizioni imposte dal protocollo del Cts che prevedono, tra l’altro, di allenarsi ad almeno due metri di distanza l’uno dall’altro in locali "dotati di adeguati sistemi di ricambio dell’aria", di non togliere la mascherina se non durante gli esercizi, di non utilizzare le docce. E di registrare le presenze in palestra, cosa che permette il tracciamento in casi come quello avvenuto nel centro sportivo milanese, individuando con esattezza le persone che hanno incrociato quelle risultate positive. Le autorità sanitarie starebbero anche conducendo approfondimenti sui tamponi positivi, come avviene di norma quando si scopre un focolaio in un ambiente in cui sono in vigore protocolli anti-contagio, alla ricerca di eventuali varianti più contagiose del coronavirus.

Se qualche mese fa la ricercata numero uno era la variante inglese, che in Lombardia e in Italia innescò la terza ondata pandemica a marzo, oggi la sorveglianza è alta sulla variante indiana, o Delta. Diverse regioni italiane hanno certificato l’arrivo della variante Delta, che in Lombardia è stata sequenziata per la prima volta nei tamponi di cinque passeggeri atterrati in charter dall’India a Orio al Serio il 3 maggio scorso. Tutti i passeggeri di quell’aereo erano poi stati sottoposti a quarantena in Covid hotel, e ad oggi, ha spiegato il presidente dell’Istituto superiore di sanità Silvio Brusaferro, in Italia la circolazione della variante indiana "è contenuta sotto l’1% dei casi, così come la nigeriana", mentre a fare da padrona con una "larghissima circolazione" è ancora "la variante Alfa", cioè quella inglese.

Invece in Gran Bretagna la variante indiana è ormai responsabile del 90% dei nuovi casi di coronavirus e dell’impennata di contagi che si sta registrando nel Regno Unito. La mutazione Delta è del 60% più contagiosa in ambito familiare rispetto alla variante Alfa, hanno spiegato le autorità sanitarie britanniche invitando la popolazione a vaccinarsi con entrambi i richiami. "Due dosi di vaccino proteggono bene dalla variante indiana", ha spiegato nei giorni scorsi Gianni Rezza, direttore della Prevenzione al Ministero della Salute, e prima di lui l’immunologo della Statale Sergio Abrignani aveva ricordato che "l’Inghilterra ha dilazionato" i richiami "molto più di noi", ribadendo che "dopo una sola dose ci si può infettare abbastanza frequentemente", ma si è già protetti dalla malattia grave.