Finti matrimoni con cinesi: partner italiani a processo

Organizzavano nozze false pagate fino a 10mila euro per garantire il permesso di soggiorno agli stranieri

Un matrimonio

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Erano una specie di associazione Italia-Cina. Organizzavano matrimoni misti, ricongiungimenti familiari, trovavano impieghi domestici a chi ne aveva bisogno. Tutto in modo illegale però, secondo la Procura. C’erano uomini e donne italiani disposti a sposare per finta cittadini cinesi - in Italia o persino in Cina - in cambio di 5 o 10mila euro. Altri erano incaricati di procacciare quei promessi sposi e i capi del gruppo, italiani ma pure cinesi (ribattezati però con nomi facili come Francesco o Lucy) si preoccupavano di produrre all’anagrafe milanese i documenti finto-autentici oppure, se serviva, di predisporre le carte opportunamente ritoccate in vista di un possibile permesso di lavoro o di soggiorno. L’associazione (per delinquere, secondo l’accusa), composta da oltre una trentina di persone, avrebbe funzionato per più di un anno tra Milano e Oriente, prima di essere smascherata nel 2013 grazie anche al contributo di qualche “sposo“ pentito. E se da allora si è arrivati al rinvio a giudizio di alcuni degli aderenti appena una decina di giorni fa, è solo perché in questa vicenda la giustizia non è stata evidentemente rapidissima.

Così è toccato allo stesso procuratore aggiunto Laura Pedio, che in questi anni ha coordinato le indagini, chiedere al gup Alessandra Clemente anche un buon numero di proscioglimenti per prescrizione degli imputati con le contestazioni meno gravi, mentre per i mandati a giudizio il processo inizierà a novembre.

Reati contestati, oltre a quello associativo, diversi altri relativi alla normativa sulla discipina del’immigrazione e la condizione dello straaniero. Tecnicamente, stando alle imputazioni, "secondo modalità prestabilite e con ruoli e compiti ben precisi", gli italo-cinesi "promuovevano e favorivano l’ingresso o la permanenza" in Italia di cittadini cinesi "per mezzo di matrimoni con cittadini italiani compiacenti", oppure mediante "la falsa assunzione dei predetti extracomunitari quali collaboratori domestici da parte di soggetti italiani", oppure ancora grazie a "fittizia locazione di immobili o fittizia ospitalità".

I favori ai cinesi irregolari non erano gratis, ovviamente. Le ricompense andavano dai 500 euro in su a seconda dell’impegno profuso. Un finto matrimonio poteva valere, s’è detto, fino a 10 mila euro. Lucy e Francesco, i due capi cinesi, curavano gli aspetti burocratici ma anche i viaggi di andata e ritorno. Tra i complici italiani, la famiglia M. residente nel Lecchese, padre 60enne e due figli (lui e lei, entrambi sulla trentina) sarebbero tutti e tre secondo l’accusa convolati a finte nozze.

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