"Per un aiuto restiamo senza aiuti". Famiglie con figli disabili beffate

Gli importi riconosciuti a titolo di indennità o di pensione di invalidità vengono conteggiati nell’Isee. Il risultato? Una situazione patrimoniale gonfiata che fa perdere il diritto ad avere veri servizi di assistenza

Lombardia: associazioni al Pirellone, no tagli sui disabili

Lombardia: associazioni al Pirellone, no tagli sui disabili

Milano - "Si fa rientrare dalla finestra ciò che è uscito dalla porta": così l’avvocatessa Silvia Antivalle sintetizza il paradosso segnalato all’Inps in due lettere inviate per conto dell’Associazione famiglie disabili lombarde, la stessa della quale Antivalle è consigliere direttivo. Ciò che lo Stato fa rientrare dalla finestra sono gli importi concessi alle persone con disabilità a titolo di indennità o di pensioni di invalidità ma anche i risarcimenti dei danni ottenuti a seguito di episodi specifici: un incidente stradale, ad esempio. Queste somme non dovrebbero essere considerate nel momento in cui si va a calcolare il reddito Isee delle famiglie. Invece non vengono scorporate. Il problema non origina da questa o quella legge. È un problema di procedure. Ma dall’Isee dipende la possibilità di beneficiare delle misure di assistenza predisposte da Regione e Comuni, ad esempio gli assegni riconosciuti ai disabili gravi e gravissimi, non autosufficienti.

Quindi un reddito Isee gonfiato in modo improprio non è solo una beffa ma è anche un danno. Il risultato è paradossale: le somme che vengono concesse dallo Stato per aiutare le persone con disabilità, finiscono per essere un ostacolo per ottenere aiuti dagli enti locali perché gonfiano l’Isee. Come anticipato la legge è chiara: le indennità e le pensioni riconosciute dallo Stato alle persone con disabilità e alle loro famiglie devono essere escluse dal calcolo dell’Isee, non devono fare reddito. Il Consiglio di Stato lo ha affermato già nel 2016 con tre diverse sentenze: "L’indennità di accompagnamento e tutte le forme risarcitorie servono non a remunerare alcunché né all’accumulo di patrimonio personale, bensì – hanno sentenziato i giudici – a compensare un’oggettiva ed ontologica situazione di inabilità che provoca in sé e per sé disagi e diminuzione di capacità reddituale".

Un principio immediatamente recepito dalla legge e dalla stessa Inps, che il 25 luglio 2016 ha emanato una circolare ad hoc. Il problema sono le procedure: i moduli predisposti dall’Inps, quelli che bisogna compilare per il calcolo dell’Isee "non prevedono espressamente – spiega Antivalle – che nei trattamenti esclusi dal calcolo rientrino gli importi percepiti a titolo di risarcimento in ragione della condizione di disabilità". 

E, a cascata, i Centri di assistenza fiscale (Caf) "erroneamente non effettuano lo scorporo di indennità e pensioni ma si limitano ad inserire nel calcolo i conti correnti intestati o cointestati ai membri della famiglia del disabile senza che sia verificata la provenienza degli importi in essi depositati". Vale la pena sottolineare che in molti casi si tratta di conti correnti cointestati perché la persona con disabilità che riceve l’indennità non può avere un conto proprio perché non autosufficiente o perché minorenne. Anche da qui l’eterogeneità degli importi che si trovano sui conti correnti. Non è finita, però. Oltre ai Caf neppure le famiglie possono ovviare al problema, perché anche in questo caso i moduli non lo consentono: "La dichiarazione sostitutiva unica che le famiglie hanno la possibilità di compilare in autonomia telematicamente, non risulta completabile se non inserendo tutti i rapporti bancari intestati ai membri della famiglia senza che neppure in questo caso sia di fatto possibile scorporare gli importi".

Da qui la richiesta inviata all’Inps dall’Associazione Famiglie Disabili Lombarde: "L’Inps integri e renda uniforme la modulistica e dia indicazioni scritte, e specifiche, agli enti e ai professionisti che si occupano di predisporre la documentazione per il calcolo Isee" in modo che indennità e pensioni siano davvero scorporate. Una richiesta inviata il 23 settembre scorso. Ora l’Inps ha risposto all’associazione. Ma si tratta di una risposta che non solo conferma l’esistenza del problema, ma aggiunge un particolare che rende il caso paradossale. 

In sintesi "l’Inps sostiene, da un lato, che, in virtù della normativa vigente, i trattamenti economici per le persone con disabilità non vengono effettivamente fatti rientrare nella voce relativa al reddito famigliare, nel rispetto, dunque, del principio espresso nelle sentenze del Consiglio di Stato. Ma – prosegue Antivalle – ammette, dall’altro lato, che i medesimi trattamenti vengono invece necessariamente ricompresi nella voce relativa al patrimonio mobiliare della famiglia. Questo significa, di fatto, affermare di far rientrare dalla finestra ciò che è uscito dalla porta principale". E venerdì l’Associazione famiglie disabili lombarde ha preso di nuovo carta e penna ed è tornata a scrivere all’Inps.  

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