Fabbrica esplose. "Era una raffineria di droga"

A tre anni dai fatti, cinque ordinanze di custodia cautelare per l’imprenditore che trasformava la cannabis per poterla spacciare

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di Francesca Grillo

Ci sono 330 pagine di ordinanza piene di intercettazioni. Un lavoro meticoloso dei carabinieri di Trezzano, guidati dal luogotenente Michele Cuccuru che a settembre del 2019 si era insospettito per le migliaia di bombolette di gas butano trovate dentro e fuori dalla fabbrica esplosa in via Edison (nella foto). Lo scoppio fu violentissimo. Le bombolette erano saltate in aria come proiettili per poi finire sull’asfalto fuori dal capannone dove la società “Tree of light” lavorava la canapa light, gestita da Giuseppe Palumbo, 29 anni. Palumbo, il fratello e il dipendente erano rimasti coinvolti nell’esplosione, finendo in ospedale in gravissime condizioni e dichiarati fuori pericolo solo dopo settimane. I sospetti del comandante su quelle bombolette di butano, isobutano e propano si sono trasformati in più di un anno di indagini, di studio sulle oltre 30 tipologie di cannabis che gli indagati nell’operazione (tra cui il proprietario dell’impresa) lavoravano per trasformare la sostanza da legale a illegale. Con il butano, attraverso procedimenti complicati (e pericolosissimi, da qui l’esplosione, causata dalla saturazione dei gas) si estrae dalla marijuana il Bho, Butane hash oil. Sulla carta, l’azienda commerciava i fiori di canapa. Nella realtà, usava il butano come solvente per la lavorazione della canapa per "abbattere il thc (il principio attivo della sostanza, ndr) ed estrarre l’olio di canapa", si legge sull’ordinanza. Una procedura che "aumenta" gli effetti della cannabis rendendo la sostanza illegale. "I carabinieri mica sono chimici, non sanno niente di ’ste cose", dicono intercettati gli indagati, sentendosi disinvolti nelle procedure. Ma i militari di Trezzano hanno studiato ogni sostanza attraverso le analisi chimiche, coinvolgendo anche i Ris di Parma per i rilievi in fabbrica.

La conclusione delle indagini ha portato a 5 ordinanze di custodia cautelare con obbligo di firma e di dimora per gli indagati, responsabili della lavorazione illegale e del trasporto di chili di sostanza. Decine i viaggi in Svizzera per recuperare la cannabis legale. Altrettante le spedizioni dal canale degli agricoltori sardi, ritenuti però inaffidabili perché "troppo permalosi e la qualità non è buona", dicono ancora gli indagati. A capo dell’organizzazione c’era Palumbo, con precedenti legati alla droga. Neanche le settimane in ospedale dopo l’esplosione hanno fermato "l’imprenditore" che ha subito trovato un altro magazzino per ricominciare la lavorazione, provando a guardare anche al mercato americano quando la richiesta di sostanza è aumentata durante il Covid. Ora dovrà rispondere, insieme al resto del gruppo, all’accusa di commercializzazione e illecita lavorazione della canapa light. In parallelo all’indagine dei carabinieri, che hanno sequestrato in totale 950 chili di sostanza (valore oltre un milione di euro), si inseriscono gli accertamenti dei finanzieri coordinati dal capitano Pierluigi Rochira che hanno approfondito i flussi e i movimenti economici sospetti nei conti correnti, con un sequestro di quasi 800mila euro custoditi in una banca a Milano e di una cassetta di sicurezza con tre Rolex.

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