Expo, lavori non ancora pagati ma la Russia fa le valigie

Fermati gli operai che smontavano il padiglione. Li hanno scoperti le aziende creditrici di Mosca

Operai smontano il padiglione  della Russia, nonostante la fase si apra da metà del mese

Operai smontano il padiglione della Russia, nonostante la fase si apra da metà del mese

Milano, 5 novembre 2015 - La scoperta è avvenuta per caso. Martedì, mentre erano impegnati a recuperare le prime piante dal sito di Expo, gli operai del vivaio legnanese Mandelli si sono accorti che qualcuno era già passato ai lavori pesanti, in barba alle regole di cantiere. Quel qualcuno è la Russia, che con l’azienda del Milanese ha in sospeso un conto da 78mila euro, non ancora saldato, per il verde del palazzo. La Mandelli è uno dei nove fornitori italiani che hanno costruito il padiglione russo all’Esposizione universale, appalto poi contestato dagli organizzatori, Rt Expo e Rvs Holding, perché giudicato «incompiuto e difettato», senza pagare 950mila euro di lavori. Soldi che i subappaltatori reclamano, forti anche di una perizia depositata al Tribunale di Milano che giudica le opere «a regola d’arte». Da giugno il braccio di ferro tra le parti si fa di giorno in giorno più sfibrante e gli imprenditori italiani – oltre a Mandelli, Ges.Co.Mont, Sech. Thyssenkrupp elevator, Mia infissi, Idealstile, Catena, Sforazzini, La Casa ed Elios – ora temono di dover inseguire le società debitrici in Russia, tanto che da tempo premono con i magistrati milanesi perché mettano i sigilli al padiglione con un sequestro preventivo.

Di conseguenza, la scena che si sono trovati di fronte gli operai della Mandelli ha fatto drizzare le antenne al gruppo di imprenditori. Le regole di Expo, d’altronde, parlano chiaro: fino al 16 novembre, si entra in cantiere solo con piccoli mezzi per traslocare arredi e allestimenti. La demolizione vera e propria scatta dopo. «Invece i russi erano là con 40 persone e i bilici e avevano già smantellato il pavimento e alcuni parti in vetro», attacca Marco Castiglioni della Mandelli, che ha fornito il verde a un’altra decina di padiglioni, tra cui Coca-Cola, Enel, Turchia, Colombia e Giappone, senza contestazioni. Gli operai hanno scattato alcune foto e le hanno inoltrate all’Asl di Milano. «I tecnici hanno subito bloccato il cantiere», aggiunge Alessandro Cesca della trevigiana Sech, capofila del gruppo di imprese. «Come è possibile che mentre noi abbiamo fatto ore di coda per avere i pass per i piccoli mezzi, i russi siano potuti entrare con i bilici?», incalza Castiglioni. Da lunedì gli uffici di Expo a Pero sono presi d’assalto dalle centinaia di aziende che devono ottenere il lasciapassare per entrare nel cantiere, ma con la riduzione di organico della società dopo il 31 ottobre, la consegna dei documenti avviene a rilento.

Ora le nove imprese creditrici vogliono stringere i tempi della giustizia e ottenere entro 48 ore il sequestro preventivo del palazzo. L’esito della mossa non è scontato, visto che settimana scorsa una delle società, Catena, ha cercato di mettere i sigilli ai beni dei russi, ma al momento di notificare l’ingiunzione, la direzione del padiglione non ha saputo dire chi fossero i proprietari degli oggetti e della struttura. Risultato: l’atto è rimasto lettera morta. Nel frattempo continua anche il lavoro nelle stanze della diplomazia. Dopo il silenzio dall’ambasciata italiana in Russia, Cesca ha deciso di prendere carta e penna e scrivere ai vertici del Bureau international des Expositions, l’ente che presiede le esposizioni di tutto il mondo.

luca.zorloni@ilgiorno.net

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