Teatro degli Arcimboldi, il ritorno degli Evanescence. Amy Lee: "Non chiamatemi dark lady"

Il lato nascosto della frontwoman della band

Amy lee

Amy lee

Milano, 19 marzo 2018 - Goth? No, grazie. Anche se con quei capelli corvini, quel trucco pesante, quei tutù di tulle, quei corsetti vittoriani, quelle croci al collo, Amy Lee assomiglia più ad una dark lady uscita dal set di un film di Tim Burton dalla porta sbagliata che a Britney Spears, guai ad inquadrare i suoi Evanescence nelle legioni del gothic rock che presidiano la scena metal. In scena stasera, tra i velluti di un Arcimboldi esaurito ormai da settimane, Amy giura, infatti, di non sentirsi triste e depressa come la dipingono alcuni, di non essere un’eroina gotica come Cristina Scabbia dei Lacuna Coil (con o senza la poltrona rossa di “The Voice” sotto le terga), e di aver praticamente «congelato» la band per cinque anni solo col proposito di lasciare briglia sciolta alle sue aspirazioni d’artista (l’album solista “Aftermath” del 2014 o quello di musica per bambini “Dream too much” del 2016) e di donna (il figlio Jack Lion, avuto tre anni fa dal marito-terapista newyorkese Josh Hartzler).

Ma il quindicesimo anniversario di “Fallen”, il disco che con 17 milioni di copie vendute le ha cambiato la vita rendendo gli Evanescence una realtà planetaria, non poteva passare senza il ritorno della band in tournée. Anche se in scena è rimasta solo lei, visto che l’altra metà del cielo della formazione storica, il chitarrista Ben Moody, è fuori dal 2003, mentre il suo successore Terry Balsamo dal 2015. «Passaggi necessari», li definisce Amy col pensiero alla tenuta del gruppo, nato nel 1995 dall’incontro tra lei e Moody a Little Rock. «Quando abbiamo cominciato a fare musica e a scrivere canzoni, non avevamo una band: eravamo solo io e Ben», ammette. «Poi, pian piano, abbiamo aggiunto altri elementi al nostro sound: grandi chitarre, batterie, e quel graffio rock che ci piace molto». Per gli Evanescence la strada è ripartita lo scorso anno con una serie di concerti, tra cui quello all’Ippodromo di San Siro, e la pubblicazione dell’album “Synthesis”, nuovo solo in parte, data la presenza di due inediti in mezzo a classici riveduti e coretti con l’ausilio dell’elettronica e di un’intera orchestra.

«Si tratta di un album che prova ad illuminare elementi degli Evanescence rimasti spesso in ombra», spiega Amy Lee. «Il tentativo di prendere una storia importante e vedere se possiamo portarla da un’altra parte con l’ausilio di quell’orchestra desiderata da sempre, ma che solo ora possiamo permetterci». Oltre a cantare, l’eroina di “Bring me to life” è un’imprenditrice di successo con interessi nella ristorazione (la catena di ristoranti Fat Lee Burger), nello sport (la squadra di football Riverside Angels), nella moda (la linea Amy Lee Seduction), e un patrimonio di circa 245 milioni di dollari. Molto impegnata pure nel sociale, ha dato vita ad Out of the Shadows una fondazione per sensibilizzare la società sui temi dell’epilessia e sostiene To Write Love on Her Arms, movimento che aiuta le persone affette da depressione. «Un album come “Synthesis” sintetizza, appunto, diversi aspetti della nostra musica: quello sintetico e quello organico visto che affianca la programmazione elettronica al possente impatto dell’orchestra. Un equilibrio perfetto, di suoni, ma anche di passato e presente. Insomma, la musica della nostra storia e, allo stesso tempo, una forma di nuova musica».

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