Equilibri di vita funambolici

Andrea

Maietti

Sul mestiere di scrivere mi affiora un racconto di Norman Mailer. La storia di un giovane scrittore che esce con la ragazza per una serata romantica. Film, passeggiata al chiaro di luna. D’improvviso la ragazza scoppia in singhiozzi e scappa via. Ha intuito che lui sta vivendo quei momenti, per lei così intensi e unici, da cronista con mimetizzato taccuino nel cervello. Lui le ha dichiarato finalmente il suo amore, soltanto, no, diciamo soprattutto, per cogliere la reazione di lei nel trasmigrare dello sguardo. Per sentirne il brivido sulla pelle, prendendone nota immediata e furtiva sul taccuino. Il mestiere di scrivere può diventare il mestiere del guardone. Adesso, a dir la verità, non ricordo come Mailer abbia chiuso il suo racconto. Dovessi farlo al posto suo, farei arrivare il giovane a casa in comprensibile scombuglio di cuore. L’inutile tentativo di ingoiare il pensiero sgradevole con un’intera fiaschetta di whiskey (non dico l’effetto su di me, che parto dopo due bicchieri di Bonarda). Poi lo pianterei, rabbioso e affranto, davanti alla macchina per scrivere, gli occhi fissi sul foglio bianco. Le prime battute convulse e poi il foglio strappato dalla macchina e ridotto a minuzzoli. Non potrei però fargli giurare che mai più nella vita sarà spia di sentimenti altrui. Perché significherebbe smettere di scrivere. Perché scrivere è un marchio, un destino. E se rischi di fare la spia, sei pure consapevole che non ci sarebbe trepido amore, né brividi di pelle sotto la luna, senza che un Norman Mailer ce lo rivelasse con la magia della scrittura,

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