Epatite ignota, bimbo sotto la lente a Milano

Ha 4 anni, è ricoverato al San Paolo e sta già meglio. Il primario: la situazione è sotto controllo, la sorveglianza deve farci sentire tranquilli

Sul piccolo sono ancora in corso i test per escludere i virus dell’epatite D ed E

Sul piccolo sono ancora in corso i test per escludere i virus dell’epatite D ed E

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Milano - Ha quattro anni, è ricoverato da almeno quattro giorni all’ospedale San Paolo, sta già meglio e il suo è il terzo caso sospetto segnalato in Lombardia - il primo a Milano – da quando è partita la sorveglianza del Ministero della Salute sull’epatite acuta di origine sconosciuta per la quale prima la Gran Bretagna, e ora anche l’Irlanda e i Paesi Bassi, hanno segnalato all’Oms un aumento inatteso ricoveri di bambini prima sani. Giovedì scorso erano almeno 169 i casi notificati da undici Paesi (nove europei più Israele e Usa) e in Italia ne risultavano quattro. L’indomani il Ministero aggiornava il censimento a undici sospetti (in un arco temporale che parte dall’inizio dell’anno, e un caso risaliva al 2021), di cui due in Lombardia: una bambina di sei anni e un ragazzino di undici ricoverati da marzo al Papa Giovanni di Bergamo, il più grande ha avuto bisogno di un trapianto di fegato.

Ora entrambi rientrano tecnicamente nella nuova definizione Oms di "caso probabile", perché hanno meno di 16 anni, un’epatite acuta "non-A non-E" (i due virus più comuni), transaminasi (Ast o Alt) oltre un certo livello (500 U / L), ricovero a partire dal 1° ottobre 2021. La nuova definizione di "caso confermato" non è disponibile, anche perché per una malattia sconosciuta non esiste un test, e l’origine infettiva di queste epatiti è per ora l’ipotesi più accreditata dalle autorità sanitarie britanniche. Che hanno segnalato 114 dei 169 casi, almeno 74 dei quali risultati positivi a un adenovirus, e 18 al sierotipo F-41 (esistono oltre 50 sierotipi), il sospettato numero uno dei medici UK, che hanno osservato nel loro Paese anche un recente aumento di infezioni da adenovirus nei bambini.

Ma "al momento" è solo "un’ipotesi possibile", ha ribadito martedì, nella sua ultima circolare, il nostro Ministero della Salute, sottolineando che "è necessario indagare ulteriormente" sia su un eventuale "aumento della suscettibilità tra i bambini piccoli a seguito di una più bassa circolazione di adenovirus durante la pandemia", che su "ulteriori ipotesi infettive e non infettive". Martedì , in videoconferenza coi responsabili della sorveglianza epidemiologica delle Ats e i primari di Epatologia, Pediatria e Infettivologia degli ospedali lombardi, la Direzione Welfare della Regione ha dato indicazione di applicare il principio di massima precauzione nella segnalazione dei casi, includendo anche quelli che corrispondono solo ad alcuni dei criteri, sui campioni da raccogliere e sui laboratori ai quali inviare le analisi più complesse.

Il bimbo di quattro anni ricoverato al San Paolo aveva i sintomi “spia” (gastrointestinali ma soprattutto l’ittero, cioè il colorito giallastro) e le transaminasi a livelli altissimi, ora già notevolmente scesi, ed è risultato negativo ai virus dell’epatite A, B e C, mentre si attendono ancora gli esiti degli esami per i tipi D ed E. È negativo anche ai test dell’adenovirus e del coronavirus, del quale non presenta nemmeno anticorpi. Casi di epatite acuta con origine ignota in bambini piccoli se ne vedevano anche prima dell’allarme britannico, sottolinea Giuseppe Banderali, primario di Pediatria e Patologia neonatale al San Paolo e vicepresidente della Società italiana di Pediatria, "e al momento non risulta un aumento in Italia.

È stato allertato il sistema di sorveglianza, che dopo la pandemia è diventato più reattivo: al primo segnale si fa rete e si utilizzano strumenti, come la videoconferenza, che ci consentono di condividere informazioni in tempi rapidi. Io sono ottimista per natura; comprendo che queste informazioni possano creare ansia nei genitori, ma non c’è motivo di andare nel panico". Né di correre in ospedale al primo mal di pancia o diarrea, mentre l’ittero, in bambini più grandi di un neonato, "deve sempre mettere in allarme". "La situazione è sotto controllo - conclude –. Abbiamo una rete che funziona anche meglio rispetto al passato, in grado di raccogliere informazioni in velocità da molti Paesi in modo che poi le istituzioni traggano le conclusioni. La sorveglianza attiva non deve creare allarme; al contrario farci sentire più tranquilli, perché c’è qualcuno che veglia su di noi".

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