"Non troviamo più educatori per i minori disabili, vi spiego perché"

Colloquio con Laura Borghetto, presidente della onlus “L’abilità“, sui minori con disabilità lasciati senza servizi. Stipendi, formazione e sacro fuoco i punti chiave

Laura Borghetto, presidente dell’associazione senza scopo di lucro "L’abilità"

Laura Borghetto, presidente dell’associazione senza scopo di lucro "L’abilità"

Trovate questo articolo all'interno della newsletter "Buongiorno Milano". Ogni giorno alle ore 7, dal lunedì al venerdì, gli iscritti alla community del «Giorno» riceveranno una newsletter dedicata alla città di Milano. Per la prima volta i lettori potranno scegliere un prodotto completo, che offre un’informazione dettagliata, arricchita da tanti contenuti personalizzati: oltre alle notizie locali, una guida sempre aggiornata per vivere in maniera nuova la propria città, consigli di lettura e molto altro. www.ilgiorno.it/buongiornomilano

Milano - La preparazione con la quale si esce dai corsi universitari dedicati alla professione, ma anche il numero di coloro che li scelgono e che li portano a buon fine. La solidità delle motivazioni che spingono ad intraprendere quella che dovrebbe essere una missione, più che una professione, e l’impatto con la realtà una volta che la si esercita. L’entità dello stipendio e un sistema retributivo basato, in alcuni casi, su logiche semplificate rispetto alla complessità del settore. Stanno qui le ragioni di quella che Laura Borghetto chiama "la diaspora degli educatori professionali".

Una diaspora che da mesi si sta ripercuotendo sui minori con disabilità e sulle loro famiglie. Prima di dettagliarle, quelle ragioni, Borghetto tiene ad esprimere un concetto che può apparire semplice, quasi scontato, persino dovuto. Ma che può aiutare ad immedesimarsi in chi, ad un tratto, è stato costretto a dire no: "Per noi è stato molto difficile dover comunicare alle famiglie che non avevamo operatori per seguire i ragazzi". Il riferimento è a quanto accaduto a gennaio.

Borghetto è la presidente dell’associazione “L’Abilità“, la onlus che fino a 5 mesi fa ha garantito un educatore professionale a domicilio a Daniela Mazzone e a suo figlio, un bambino di 10 anni con disabilità gravissima. Fino a 5 mesi fa, esatto. Poi Borghetto ha dovuto interrompere il servizio per mancanza di educatori, per quella diaspora di cui sopra. Una storia riportata ieri su queste pagine. Ora Borghetto vuole spiegarne le ragioni, condurci un po’ più dentro il fenomeno.

La formazione universitaria. "Gli educatori sono pochi rispetto alle esigenze di una città come Milano, che ha un terzo settore molto forte ed esteso e, quindi, una grande richiesta di queste figure. Dalle università, però, ne escono pochi. E a volte non hanno le competenze tecniche che dovrebbero avere. Ci troviamo di fronte a ragazzi con tanta buona volontà ma che non sanno giocare con un bambino con grave disabilità perché questo richiede, appunto, competenze tecniche".

"Per quella che è la mia esperienza – spiega la presidente di “L’abilità“ – credo che nelle università ci debbano essere più momenti in cui agli studenti si trasmettano competenze di questo tipo. Più ore di tirocinio, ad esempio". Il rifiuto di andare a domicilio. "Un altro tema col quale siamo costretti a relazionarci – spiega sempre Borghetto – e che incide direttamente sulla vicenda di Daniela Mazzone, è il rifiuto di una parte degli educatori di andare a domicilio. Un rifiuto che ha ragioni diverse. Innanzitutto è più semplice lavorare in un centro anziché nelle case dei ragazzi e delle loro famiglie.

In un centro diurno per disabili, ad esempio, l’educatore può sempre contare sulla presenza di un coordinatore e di uno staff con i quali può condividere le responsabilità. E deve seguire un percorso predefinito. Il lavoro a domicilio, invece, è decisamente più complicato: l’educatore è a tu per tu col minore con disabilità e con i suoi genitori, deve essere capace di avere e di mantenere nel tempo una buona relazione con l’uno e con gli altri, deve essere autonomo ed è il solo responsabile di quello che accade.

Forse da fuori non lo si intuisce, ma si tratta di una grande responsabilità. E molti non riescono a sostenerla, non reggono. Abbiamo avuto più casi di educatori che ci hanno detto di non voler più lavorare a domicilio ma solo nel centro, perché è più semplice, è meno pesante". Ma dietro a questo rifiuto di andare nelle case dei minori e dietro la richiesta di cambiare mansione c’è anche un altro motivo: quello economico.

Gli stipendi. "Gli educatori purtroppo non vengono pagati tanto – ammette Borghetto –. La delicatezza e la complessità del loro ruolo non sono riconosciute. A volte si ha l’impressione che siano considerati babysitter ma, detto con tutto il rispetto dovuto, non fanno babysitting. Un educatore che lavori 38 ore a settimana, un monte ore standard, percepisce 1.300 euro al mese. Ed è molto più facile raggiungere le 38 ore settimanali di lavoro se si sta in un centro anziché andare a domicilio. In un centro si fa meno fatica, si guadagna di più e si fa un orario da ufficio, dalle 9 alle 16.

Chi fa assistenza domiciliare, invece, deve muoversi continuamente, magari facendo fronte a spostamenti che richiedono anche un’ora di viaggio all’andata e un’ora al ritorno, in orari disagevoli, ad esempio solo dal tardo pomeriggio in avanti, solo una volta che il minore è tornato da scuola, per poi stare con lui, con il bambino, soltanto per un un paio di ore, pure malretribuite. Infatti per quanto riguarda la misura B1 (disabilità gravissima ndr ) Regione Lombardia ci permette di rendicontare interventi a 24 euro l’ora.

Una cifra modesta perché non tiene conto del tragitto per andare e tornare dall’abitazione della famiglia né di tutto il lavoro di preparazione, di confronto, di staff e amministrativo che precede e segue ogni visita e ogni attività a domicilio. Tutto questo non è remunerato eppure è fondamentale. Non si può andare a casa di un minore con autismo di grado 3 senza essersi preparati prima. In tema di retribuzione, quindi, non si può ragionare solo con la logica frammentata del voucher orario, che retribuisce solo quello che accade durante l’intervento in presenza. Queste cose Regione le deve sapere".

Se manca il fuoco sacro. Premesso e sottolineato tutto questo, la presidente di “L’Abilità“ fa sapere di comprendere "che un ragazzo di 25 anni possa decidere di smettere di fare l’educatore professionale e cambiare mestiere". Ma al tempo stesso ritiene di dover sottolineare un altro concetto che potrebbe sembrare scontato ma, evidentemente, non lo è: "Chi intraprende questo percorso perché aspira a lavorare con le persone con disabilità, nel momento in cui sceglie di lavorare solo dal lunedì al venerdì, dalle 9 alle 16, come se lavorasse in banca, tradisce la sua missione.

Non c’è coerenza tra questa visione della professione e i suoi principi. Quello che mi scoraggia moltissimo è che noi abbiamo istituito “Il sabato del sollievo“, ogni sabato dalle 10 alle 18 ci occupiamo dei bambini con disabilità consentendo ai loro genitori di avere tempo libero. Ma non troviamo educatori che vogliano lavorare al sabato. Se questo è il futuro dei servizi educativi, io non posso che essere disperata come certe mamme".

[email protected]