Ragazza narcotizzate e violentata: condannati per stupro, difesi dalle mogli

Urla e proteste in aula. "Amore, ma quando ci rivediamo?"

Uno degli imputati ripreso mentre versa la droga dello stupro nel drink della ragazza

Uno degli imputati ripreso mentre versa la droga dello stupro nel drink della ragazza

Milano, 24 luglio 2018 - Due imputati condannati a 12 anni di carcere e il terzo a 8 anni e 6 mesi. Così si è concluso il processo di primo grado a carico di tre giovani arrestati nell’aprile del 2017 con l’orrenda accusa di stupro di gruppo. Gli autori della violenza sessuale sono Marco Coazzotti, 29 anni, Mario Caputo, 48 anni, e Guido Guarnieri, 22, tutti operai.

Condanne appena più lievi avevano chiesto il pm Gianluca Prisco e l’aggiunto Letizia Mannella. Un processo difficile, anche per il contesto culturale e sociale in cui vivono gli autori dello stupro. Le difese dei giovani, tutti con precedenti, uno recidivo alla violenza sessuale, hanno contestato la mancanza di Dna come prova schiacciante sul corpo della vittima. Ma non ha retto. I tre, uno dei quali proprio quella notte stava per diventare padre, avevano deciso di «farsi una serata tra uomini». Così preparano il tranello nel quale cadrà la ragazza di 23 anni, commessa in un negozio nel centro di Milano. L’idea è di uno di loro, che già la conosceva e la «corteggiava» da tempo. Si incontrano quella sera di aprile, vanno in un locale e bevono l’aperitivo. «Mi fidavo – dirà lei agli investigatori –: lo conoscevo, mi corteggiava, avevo parlato con lui un sacco di volte; non ricambiavo, ma era solo un aperitivo». Ma i tre uomini si organizzano. Uno distrae la ragazza, l’altro mette nel bicchiere una sostanza a base di benzodiazepine, che abbassa le difese e cancella i ricordi. La giovane - in stato di semincoscienza - viene portata nell’appartamento di uno dei tre e stuprata dalle 21 di quella sera alle 7 del mattino dopo.

La ragazza si sente male, comincia a svanire l’effetto della droga e, a poco a poco, ha dei “flash” sulla notte degli orrori, rivede gli uomini sopra di lei e ricorda di avere gridato «basta». Più e più volte. Senza essere ascoltata. Quando si sveglia, è nuda e i vestiti sono a terra, sporchi. I tre cercano di convincerla: «Ti sei fatta di coca ieri sera, ti abbiamo salvata noi, ci devi dire grazie. Dimentichiamoci tutto, ora ti portiamo a casa». Quando i ricordi si schiariscono, per la vittima inizia un incubo ancor peggiore, ha ricordato in aula l’avvocato Benedetto Tusa: «La giovane, per sindrome post traumatica, ha perso il lavoro, non ha più il coraggio di uscire di casa e ha tentato il suicidio». È stata salvata dal padre che in aula non è riuscito trattenere le lacrime. E c’è un altro dramma, ieri, in aula: il comportamento delle donne e dei familiari degli stupratori. Le compagne erano lì, a mandare baci di sostegno e strizzatine d’occhio ai loro fidanzati. «Noi non siamo stupratori perché abbiamo usato il preservativo. Gli stupratori violentano le donne in strada, non le portano a casa dopo», urla uno dei tre dietro le sbarre». «Appunto», il commento della sua compagna, prima di essere zittita dal giudice. E ancora urla, alla lettura della sentenza. «Mio figlio ha solo 22 anni», grida una madre, mentre offendeva giudici e spintonava i giornalisti. «Amore, ma quando ci rivediamo?» chiede la fidanzata. Mentre il compagno veniva portato a San Vittore. 

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