Scontri a Milano, in piazza come allo stadio

Il direttore del Centro Studi Sicurezza pubblica Marinelli: "Con le curve chiuse gli ultras hanno sposato la protesta per dire “io esisto“"

Disordini in corso Buenos Aires a Milano

Disordini in corso Buenos Aires a Milano

Milano, 2 novembre 2020 - Covid galoppante. Ordine pubblico. La provocazione che s’insinua nella pacifica protesta dei commercianti contro la chiusura anticipata per poi erompere scatenando la guerriglia urbana. È il volto violento della pandemia cha a Milano ha gettato la maschera. Molti spunti per una riflessione con Maurizio Marinelli, fondatore e da oltre trent’anni direttore del Centro Studi Sicurezza pubblica e presidente dell’Associazione nazionale Polizia di Stato di Brescia. Originario di Castelfidardo, è stato in servizio per 41 anni nella polizia in terra bresciana.

Marinelli, quale è la prima considerazione che si ricava dagli incidenti di Milano? «La presenza di frange di ultras del calcio. Non possono frequentare gli stadi dall’inizio dell’anno. Lì erano imbrigliati da norme molto restrittive, la tessera del tifoso, i posti numerati. Hanno pensato di approfittare della manifestazione. Hanno spostato altrove la loro attività, il loro poter dire “Io sono violento. Quindi esisto”. Questo è il punto. In strada hanno trovato campo aperto e si sono inseriti nella protesta civile, legittima dei commercianti. Purtroppo (e lo dico tre volte) in questi gruppi si deve registrare la presenza di tanti minori. Insieme con gli altri, quelli dei gruppi organizzati contro la violenza contro tutto quello che è Stato. Anche il Dpcm è Stato. E allora tutti contro il Dpcm».

Cosa unisce gli ultras? «Io sono bresciano. Gli ultras di Brescia e quelli di Bergamo sono divisi da una rivalità storica, ma si sono ritrovati uniti contro i Daspo e la numerazione dei posti. Per gli scontri a Milano l’elemento di amalgama è stato quello che si diceva: la sfida allo Stato».

Cos’altro ha agevolato l’azione dei violenti? «Alcune circostanze molto concrete. Il fatto che la manifestazione fosse in ore serali, con il buio. Gli elicotteri non si possono alzare. Il fatto che si trattasse di manifestazioni spontanee. Una volta, quando a Milano e nelle metropoli si organizzavano una manifestazione, un corteo, c’erano un cordone, un servizio d’ordine che facevano da controllo, da filtro e intervenivano quando era necessario. I commercianti mai avrebbero potuto prevedere che sarebbero entrate queste frange. A Milano e in Lombardia sono stati molti i commercianti che hanno portato in strada la loro protesta. Per Milano, nel numero, è stato più facile per i violenti, i facinorosi inserirsi, mimetizzarsi e poi scatenarsi con la violenza».

Ai violenti si sono uniti anche giovanissimi, ragazzi che provenivano dalle periferie e dall’area metropolitana. Una presenza consapevole? «Non so quale fosse il grado di consapevolezza di questi ragazzi. Una cosa mi sento di dire. Non erano lì per caso. Hanno portato in strada il disagio che hanno alle spalle, che vivono ogni giorno. Si sono uniti per mettersi in mostra, per contestare l’autorità statale, per dare libero sfogo alla violenza. Per una di queste ragioni per tutte insieme. Comunque c’erano. Credo che il loro atteggiamento comune fosse questo: “Io da solo non sono niente e nessuno mi considera. Mi metto insieme con gli altri e divento una forza”».

Un segnale preoccupante. Rimedi? «Educazione. Formazione. Non sono parole vuote. Possono venire solo dalla scuola e soprattutto dalla famiglia. E aggiungerei gli oratori. Pensiamo a cosa rappresentavano una volta gli oratori, quelli della Lombardia, i grandi oratori di Milano, al ruolo che hanno svolto per la formazione di tanti giovani».   

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