"Dostoevskij mi ha interrogato a 15 anni" Paolo Nori e l’attualità dell’autore russo

Dalla denuncia via social al dietrofront. L’ateneo: "Nessuna censura, ora clamore mediatico avvicini lettori"

di Simona Ballatore

"Bisognerebbe parlare di più oggi di Dostoevskij". Lo ripete con forza lo scrittore, docente ed esperto di cultura russa Paolo Nori. Aveva gli occhi lucidi mentre annunciava la decisione dell’università di Milano-Bicocca (poi rivista e cancellata) di "rimandare il percorso suDostoevskij" per "evitare ogni tipo di polemica, soprattutto interna, in quanto momento di forte tensione". Lui, che ha letto Delitto e castigo a 15 anni - e che da quel momento ammette di esserne rimasto folgorato - non ci sta. Così anche dopo il dietrofront dell’ateneo, che parla di "malinteso" e rimette in calendario le sue lezioni aperte a tutti, prende tempo: "Non so se voglio andare in un’università che ha immaginato che Dostoevskvij sia qualcuno che generi tensione".

In “Sanguina ancora“, titolo del suo ultimo libro su “L’incredibile vita di Fëdor M. Dostoevskij“, ha cercato di svelare anche a chi non si è mai approcciato alla letteratura russa l’attualità e la forza dei suoi romanzi: "Ci ha descritto prima ancora che venissimo al mondo", ricorda Nori. Che alla domanda sul perché rileggerli 120 anni e passa dopo e a migliaia di chilometri di distanza ha sempre risposto in punta di penna: "So l’effetto che fa a me e che mi ha fatto 42 anni fa la domanda di Raskolnikov: ’Ma io, sono come un insetto o come Napoleone?’", ricorda in un video, rivedendosi adolescente. "Io son poi da solo, e loro sono tutti", dice l’uomo del sottosuolo nel 1864, quell’uomo che "è il personaggio più simile a me", confida ancora: "Mi son detto, no, sono io l’uomo solo. Era un sentimento che provavo e che non avevo mai confessato a nessuno". Così dopo aver scritto un romanzo per svelare anche ai ragazzi che non è vero che la letteratura russa è fatta di “mattoni“ ("come non è vero che ’La corazzata Potëmkin’ duri sette ore", sorrideva in un’altra intervista-video) e che "Dostoevskij ci parla anche oggi con la sua incredibile vita e con i suoi romanzi", si trova a doverlo difendere durante la diretta Instagram nella quale aveva annunciato che avrebbe parlato proprio della "paura che fanno i russi oggi", compresi coloro che con coraggio si schierano contro il regime e la guerra. "Non solo essere un russo vivente è una colpa, oggi, in Italia", ricorda citando la decisione a Reggio Emilia di cancellare una mostra del fotografo russo Alexander Gronsky, invitando tutti a scrivergli "di non mollare", come ha fatto lui.

"È una colpa anche essere un russo morto che, quando era vivo, nel 1849, è stato condannato a morte perché aveva letto una cosa proibita – ricorda –. Quello che sta succedendo in Ucraina è una cosa orribile e mi viene da piangere solo a pensarci, ma queste cose sono ridicole. Una università italiana che proibisce un corso su Dostoevskij? Quando ho letto questa email non ci credevo… Bisognerebbe parlare di più di Dostoevskij".

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