Dj Fabo, "Per la legge il suicidio è un diritto". E la pietà di Cappato non è reato

Milano, la richiesta di archiviazione: "Non ha scelto per il dj Fabo"

Fabio Antoniani

Fabio Antoniani

Milano, 9 maggio 2017 - Le condizioni fisiche di Fabio Antoniani, per gli amici Fabo, dopo l’incidente stradale che nel giugno del 2014 lo aveva reso cieco e tetraplegico «erano drammatiche». «Quasi per un assurdo scherzo del destino la patologia che l’aveva privato della vista e del movimento non l’aveva reso insensibile al dolore. Il corpo, inerte, era percorso da insostenibili spasmi di sofferenza più e più volte al giorno». È questo il quadro che i pm Tiziana Siciliano e Sara Arduini tracciano delle condizioni di dj Fabo nella richiesta di archiviazione dell’indagine avviata nei confronti Marco Cappato per aiuto al suicidio, dopo che l’esponente Radicale e tesoriere dell’associazione Luca Coscioni si è autodenunciato per aver accompagnato il 40enne milanese in Svizzera a morire.

Fabiano provava «dolore fisico, tanto dolore». Per la sua sopravvivenza dipendeva in tutto dalle macchine e dall’aiuto della madre, che aveva lasciato il lavoro per accudirlo, e della fidanzata Valeria. Una condizione che l’aveva portato a prendere la «decisione irrevocabile» di mettere fine alle sue sofferenze. Il «principio della dignità umana – scrivono i pm – impone l’attribuzione a Fabiano Antoniani, e in conseguenza a tutti gli individui che si trovano nelle medesime condizioni, di un vero e proprio ‘diritto al suicidio’». I magistrati milanesi lanciano anche un messaggio al mondo politico: «Sarebbe altamente opportuno (e se ne auspica l’intervento urgente) – scrivono nell’istanza – che il legislatore italiano si facesse carico in prima persona del problema, disciplinando rigorosamente tale diritto in modo da prevenire il rischio di abuso, ad esempio, sotto forma di pratiche eutanasiche, nei confronti di persone il cui consenso non sia sufficientemente certo». Dj Fabo e chi sta come lui, deve avere la possibilità di mettere fine alla sua vita sia «in via indiretta mediante la rinunzia alla terapia», sia «in via diretta, mediante l’assunzione di una vera e propria terapia finalizzata allo scopo suicidario».

Se il 40enne milanese avesse rinunciato solo al ventilatore per respirare e all’alimentazione, infatti, a differenza di quanto è accaduto a Piergiorgio Welby, sarebbe andato incontro a «una lunga agonia, quantificabile anche in diversi giorni», affrontando un’ulteriore «calvario» e esponendo le persone che amava a ulteriori sofferenze. Per lui è stato dunque inevitabile scegliere la via del suicidio assistito, azionando con un movimento della mandibola il macchinario che gli ha somministrato il farmaco letale. Per i pm «l’ordinamento italiano, che ha come fine ultimo il perseguimento del ‘pieno sviluppo della persona umana’, non può consentire una così grave lesione della dignità di un individuo» come un’esistenza come quella che si prospettava davanti a Fabo. In quest’ottica, il comportamento di Cappato, che lo ha accompagnato in Svizzera, «non assume rilievo penale» soprattutto perché l’esponente Radicale «non ha avuto alcun ruolo materiale nella condotta suicida di Antoniani, limitandosi ad assistere passivamente» e non ha «partecipato in alcun modo alla fase esecutiva» della proceduta di suicidio assistito. Adesso spetterà al gip Luigi Gargiulo decidere se accogliere la richiesta e disporre l’archiviazione oppure respingerla.

 

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