Dj Fabo, pm: "Per chi è come lui esiste il diritto al suicidio"

Per i pm "sarebbe altamente opportuno che il legislatore italiano si facesse carico in prima persona del problema, disciplinando rigorosamente tale diritto"

Un'immagine di dj Fabo dal profilo Facebook dell'Associazione Luca Coscioni

Un'immagine di dj Fabo dal profilo Facebook dell'Associazione Luca Coscioni

Milano, 8 maggio 2017 - Per le persone che sono nelle condizioni di Dj Fabo esiste il "diritto al suicidio".  Si tratta di quanto sostengono i pm Tiziana Siciliano e Sara Arduini, i magistrati che hanno chiesto l'archiviazione per Marco Cappato, indagato per aver portato il dj a morire in Svizzera.

Secondo i pm, "non può in alcun modo essere messo in dubbio" che la "scelta di porre fine alla sua esistenza fosse per Fabiano Antoniani assolutamente volontaria" di fronte a una prognosi "tutta raccolta in un'unica, agghiacciante parola: irreversibile" e a condizioni fisiche definite "drammatiche". Dopo vari tentativi di recuperare, tra cui anche il trapianto di cellule staminali, per lui la sentenza era "inappellabil"»: a causa del grave incidente stradale "sarebbe rimasto cieco e paralizzato seppur in pieno possesso delle sue facoltà mentali". Inoltre, il suo corpo "inerte", si legge nella richiesta di archiviazione per Cappato, "era percorso da insostenibili spasimi di sofferenza più e più volte al giorno". Un "dolore che solo farmaci potenti riuscivano a lenire ma al prezzo di obnubilargli la mente togliendogli così l'unico contatto con la vita che ancora gli rimaneva".  In questo quadro per la Procura di Milano "il principio della dignità umana impone l'attribuzione a Fabiano Antoniani, e in conseguenza a tutti gli individui che si trovano nelle medesime condizioni, di un vero e proprio 'diritto al suicidio' attuato in via indiretta mediante 'la rinunzia alla terapia', ma anche in via diretta, mediante l'assunzione di una 'terapià finalizzata allo scopo suicidario".

Per Dj Fabo "rinunciare alle cure - scrivono sempre i pm - avrebbe significato andare incontro ad un percorso certamente destinato a concludersi con la morte, ma solo a seguito di un periodo di degradazione ad una condizione ancora peggiore di quella in cui si trovava nel momento in cui ha preso la sua decisione". E in questo senso "l'ordinamento italiano, che ha come fine ultimo il perseguimento del 'pieno sviluppo della persona umana', non può consentire una così grave lesione della dignità di un individuo".

Ritenendo che in questa situazione le pratiche di suicidio assistito "non costituiscono una violazione del diritto alla vita", i pm hanno anche lanciato un appello al legislatore italiano, auspicando un suo intervento "urgente", affinché si faccia "carico in prima persona del problema, disciplinando rigorosamente tale diritto", quello del suicidio assistito anche nel nostro Paese ( per altro componente del Consiglio d'Europa che ne riconosce la legittimità e disciplina rigorosamente i requisiti per accedervi) "in modo da prevenire il rischio di abuso, ad esempio, sotto forma di pratiche eutanasiche, nei confronti di persone il cui consenso non sia sufficientemente certo". Ora la parola passa al gip Gargiulo.

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