Distillati e liquori, è tornata la Milano (che fa) da bere

Distillatori di vermut, gin nato in lavapiatti. E moscato di terrazza in Brera

E' tornata la Milano da bere

E' tornata la Milano da bere

Milano, 15 marzo 2018 - L'età d'oro dei cocktail bar milanesi ha cambiato la morfologia della città. Zone come l’Isola e i Navigli si sono trasformate seguendo il flusso della movida. Ma la vera novità è la rinascita della produzione di distillati e liquori, come nell’Ottocento, quando Ramazzotti, Campari e Fernet-Branca resero Milano famosa nel mondo degli alcolici. È la carica delle microdistillerie e dei liquorifici artigianali. E se una vigna di moscato bianco riesce a germogliare nel cuore di Brera, possiamo chiamarlo davvero il miracolo dell’alcol meneghino. La resurrezione del vermut. La sua città natale è Torino, ma a renderlo grande sono stati Milano e il rito dell’aperitivo. La bevanda, che secondo la Gazzetta ufficiale del 1956 deve avere una gradazione alcolica tra il 16 e il 22 per cento e per tre quarti deve essere composta da vino bianco o rosso, fu creata in piazza Castello nel 1786.

Nel 2012 il milanese Stefano Di Dio ha formato un team per inventare un nuovo vermut, Oscar.697. Lui in regia, alla ricetta il bartender Oscar Quagliarini; il designer australiano David Caon ha creato la bottiglia e Oreste Sconfienza, capo della Canellese, storica azienda di vermut astigiana, ha investito nel progetto. «Oreste fa il vermuttista dall’età di 14 anni. Ora ne ha 82 e produce il nostro Oscar.697», racconta Di Dio. Anche il Café Trussardi e Luca Crinò della pasticceria Massimo 1970 producono un proprio vermut. Poi c’è l’esordio del gin milanese. Le persone normalmente usano la lavastoviglie per lavare i piatti, «ma Richard D’Annunzio, barman del nostro team, è un genio. Ha usato la lavastoviglie di casa per mantenere a 65 gradi costanti dei barattoli contenenti 18 erbe botaniche», spiega Andrea Romiti, uno degli ideatori del primo gin meneghino. L’idea nasce da cinque amici: «L’abbiamo chiamato affettuosamente Giàss, che in milanese significa “ghiaccio”, in omaggio alla nostra città». I ragazzi, durante il periodo di Expo, regalano al barman del gruppo un alambicco «non professionale. È di rame ma l’abbiamo comprato su Amazon per 200 euro». Seguono sei mesi di esperimenti, la cucina di D’Annunzio diventa il laboratorio di un chimico e, tra cene e bevute, i cinque amici raggiungono l’accordo sul sapore: «Nel 2015 è nato il primo Milan Dry Gin e adesso lo servono più di 50 locali in città», conclude Romiti.

Ma non termina qui la storia del distillato bianco. In via Pastrengo 11, dopo non pochi problemi legislativi, è arrivata l’autorizzazione per aprire la prima microdistilleria in Italia, all’interno di una cucina di un cocktail bar. «Mancava solo l’alambicco, ce lo siamo fatti fare su misura da uno storico produttore senese di impianti di distillazione», racconta Alessandro Longhin, insieme a Davide Martelli proprietario del The Botanical Club. «Eravamo letteralmente una start up, un progetto unico nel suo genere in Italia. Adesso i clienti tornano appositamente per bere il gin autoprodotto “Spleen et Idéal”». Un distillato insolito. Anche Farmily, della coppia Marco Russo e Flavio Angiolillo, è un distillato che cambia costantemente. «Ma non è un gin, non è una tequila e nemmeno un rum», spiega Russo, «il termine corretto è botanical spirit». Ogni primavera il duo, già conosciuto nel mondo dei cocktail per i bar Mag, Backdoor 43 e il misterioso 1930, seleziona erbe botaniche, radici e fiori diversi per un prodotto mai uguale all’annata precedente. «Le uniche cose che restano uguali sono la sperimentazione e la qualità degli ingredienti».

Il miracolo del vino. Una produzione di una sola bottiglia. «Ma è un simbolo», dice l’architetto Carlo Santambrogio. Simbolo che a Milano tutto è possibile, anche produrre un vino da un mini-vigneto cresciuto su una terrazza in Brera. «I test ci hanno detto che la qualità del moscato bianco è interessante», afferma Santambrogio. Due viti secolari piantate nel 2015. Due anni dopo, l’uva è buona per la vendemmia «che sarà ripetuta anche nel 2018. La vite si radica e così diventa anche il nostro messaggio d’amore e attaccamento a Milano».

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