Dipendenti in smart? 207 assunzioni mancate Il 14% delle donne a rischio esaurimento

Ricerca su 3.152 lavoratori milanesi: per il 78% più tempo davanti al pc, 8268 ore “regalate“ all’azienda. Straordinari? Non esistono

di Andrea Gianni

"I dipendenti in smart working intervistati hanno regalato 8268 ore di lavoro alle imprese, non conteggiate come straordinari. E di conseguenza le aziende, facendo una stima, hanno evitato di creare occupazione per almeno 207 posti". È l’amara considerazione di Matteo Gaddi, ricercatore della Fondazione Sabattini, nel tirare le fila di un sondaggio commissionato dalla Fiom-Cgil su un campione di 3.152 lavoratori milanesi dell’Ict, tecnologie dell’informazione e della comunicazione: uno dei settori con il più alto tasso di smart working anche prima della pandemia, cartina tornasole per misurare il presente e per prevedere il futuro del lavoro a distanza attraverso le risposte a 100 domande raccolte da metà dicembre a marzo. Il 78% dei lavoratori intervistati ha dichiarato di lavorare da casa tutti i giorni, e solo il 6.7% va in ufficio quattro giorni su cinque.

"La pandemia ha accelerato processi in corso – spiega Roberta Turi, segretaria generale della Fiom di Milano – l’unica legge che abbiamo sullo smart working è del 2017, sembra un secolo fa". E a pagare il prezzo delle criticità emerse, guardando i risultati del sondaggio che ha coinvolto 20 grosse aziende, sono soprattutto le donne. Il 39% di uomini e donne in smart working soffre di disturbi di natura muscolo-scheletrica; il 15% di insonnia; il 13% ha rischiato l’esaurimento nervoso. Percentuali già preoccupanti che salgono guardando solo il campione femminile. Sono 149 le donne a rischio burnout, quasi il 14% del totale. Il 18% soffre di insonnia, il 45.69% di disturbi di natura muscolo-scheletrica. Quasi la metà di uomini e donne, il 43% del totale, a casa non effettua le pause previste dalla legge sui videoterminalisti. Per il 38% vengono organizzate riunioni fuori dall’orario di lavoro, trasferendo nello smart working una cattiva prassi pre-pandemia. Il 78% a casa lavora un numero di ore superiori rispetto a quando andava in ufficio: per il 60% succede più di due volte a settimana.E i motivi sono nei carichi di lavoro eccessivi (27%) e nelle scadenze da rispettare (31%). Da qui la stima di 8268 ore "regalate all’azienda" pari a 207 nuovi posti di lavoro che, a Milano, non si sono mai creati. Il 54% dei lavoratori, inoltre, ha spiegato di essersi messo davanti al computer anche in giornate in cui si sentiva indisposto, ad esempio per l’influenza, senza prendere giorni di malattia.

Ai dipendenti poi, è stato chiesto di rendicontare l’effettiva possibilità che hanno di negoziare individualmente una serie di aspetti della loro prestazione lavorativa. Il 45% ritiene insufficiente la contrattazione con i vertici aziendali sugli obiettivi. Il 53% invece non è soddisfatto della negoziazione sui carichi di lavoro. Il 62% dichiara di non aver mai partecipato alla definizione degli obiettivi aziendali, mentre solo la metà rivela di essere coinvolto raramente per quelli che sono gli obiettivi individuali. "Lo smart working declinato in questo modo rischia di diventare uno strumento nelle mani esclusive del datore di lavoro – spiega Alessandra Ingrao, docente della facoltà di Giurispridenza della Statale di Milano che ha lavorato alla ricerca –. La futura legge dovrà prevedere sistemi simili a quelli che regolano il part time, senza affidare tutto alla contrattazione collettiva. E la legge dovrà introdurre il diritto a ottenere tutti gli strumenti per lavorare a distanza". Solo il 5% degli intervistati, infatti, ha ottenuto una forma di copertura delle spese di internet.