"Derivati Mps non per nascondere perdite"

Le motivazioni della Corte d’Appello per le assoluzioni degli imputati condannati in primo grado. Alexandria e Santorini operazioni legittime

Migration

"Non si può sostenere l’esistenza di una finalità contabile illecita quale motore immobile della ideazione, strutturazione ed esecuzione dell’operazione Alexandria e quindi ritenere che "sarebbe essa stessa illecita". Cita perfino Dante e Aristotele la Corte d’Appello di Milano, nelle oltre 1.500 pagine di motivazioni della sentenza dello scorso maggio, che ha assolto tutti gli imputati, a cominciare dagli ex vertici del Monte dei Paschi, Giuseppe Mussari e Antonio Vigni, per la faccenda dei derivati. Un ribaltone della sentenza di primo grado, che aveva condannato tutti a pene pesanti, a partire da 7 anni e mezzo per Mussari.

"Può, allora e in definitiva, affermarsi che la contabilizzazione a saldi aperti attuata da Monte dei Paschi di Siena, con riguardo alle operazioni Alexandria e Santorini non ha violato alcun criterio di valutazione previsto dalla normativa, ma, all’opposto, si è uniformata ai ‘criteri generalmente accettati’ ed applicati dagli operatori del mercato dell’epoca, nonché validati dalle autorità in materia di vigilanza e contabili" è l’epilogo.

Per la Corte d’Appello Alexandria non era un Credit default swap, un derivato da contabilizzare a saldi chiusi. Così come Santorini non era uno strumento finanziario che doveva servire ad occultare le perdite per l’operazione Antonveneta.

"Il Tribunale - scrivono nelle motivazioni, riferendosi alla Corte di primo grado - ha continuato a percorrere la strada della finalità contabile illecita sottesa alla volontà di occultare una perdita, di fatto giungendo ad una affermazione di cui non è possibile condividere il sostrato logico argomentativo".

Non c’è stata nessuna sinergia di intenti, interessi convergenti dei vertici di Mps, Nomura e Deutsche Bank, per avere ingiusti profitti dalle operazioni Alexandria, Santorini, Fresh e Chianti Classico. I giudici hanno sostenuto "l’impossibilità di ritenere sussistente il reato di false comunicazioni sociali per l’assenza di una falsità valutativa penalmente rilevante".

La Corte d’appello di Milano, nell’assolvere tutti gli imputati, non ha condiviso questa tesi, sostenendo tra l’altro che "il contesto nel quale era stato deciso l’acquisto di Antonveneta era favorevole alle banche, le quali non potevano prevedere il tracollo finanziario e la crisi mondiale che sarebbe scaturita dal fallimento della banca Lehman Brothers, avvenuto il 15 settembre 2008 a causa dell’inandempimento dei mutui subprime". Aggiungendo anche che "la decisione di comprare Antonveneta e il relativo prezzo pagato, insindacabile in questa sede, mirava a espandere la banca senese e, in quel momento, poteva apparire giustificata dall’aspettativa di maggiori guadagni futuri per il gruppo. Fu una scelta strategica che si rivelò poi penalizzante solo a seguito del fallimento di Lehman Brothers".

Riservandosi un giudizio più articolato, il difensore di Giuseppe Mussari, l’avvocato Fabio Pisillo, commenta così le ragioni dei giudici milanesi. "La Corte di appello motiva l’assoluzione piena in modo assolutamente esaustivo e ineccepibile e fa giustizia in maniera netta e perentoria di accuse infondatissime e di una sentenza di primo grado gravemente e totalmente errata. Spazza via la tesi dei derivati. Contiene affermazioni interessantissime anche sul prezzo di acquisto di Antonveneta e sulla valutazione di Banca d’Italia riguardo a detto prezzo".

P.D.B.

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro